“Shutdown” e “rischio default”: scontro tra Obama e Repubblicani su bilancio e tetto del debito
“Shutdown” e “rischio default”: scontro tra Obama e Repubblicani su bilancio e tetto del debito
Allo scattare della mezzanotte dell’1 Ottobre, ore sei italiane, il governo degli Stati Uniti ha “chiuso i battenti”. Tutte le attività “non essenziali” finanziate da Washington sono state interrotte: è lo “shutdown” ovvero il “blocco”, lo “spegnimento” delle attività del governo federale.
Il provvedimento è stato causato dal mancato accordo tra i Repubblicani, che controllano la Camera, e i Democratici, che controllano il Senato: sul nuovo “piano di spesa” (che per legge negli Usa deve essere approvato a ogni chiusura dell’anno fiscale) che avrebbe dovuto stanziare i soldi necessari alle attività del governo,.
Le trattative si sono arenate e i soldi a diposizione del governo sono finiti.
Sembra una catastrofe: ma è già successo 17 volte dal 1977 a oggi: l’ultima volta il faccia a faccia tra Clinton e i Repubblicani che controllavano la Camera durò per quasi un mese, dal 16 Dicembre 1995 al 6 Gennaio 1996.
Adesso 800.000 impiegati del settore pubblico sono in regime di “ferie forzate” non retribuite e senza garanzia di tornare al proprio posto di lavoro, a un altro milione è stato richiesto di lavorare senza stipendio: tutti gli uffici pubblici non essenziali sono stati chiusi.
Sono assicurati solo i servizi essenziali, sono garantite le pensioni, ma a essere pagati sono solo i membri dell’esercito, grazie a una legge firmata da Obama il giorno prima che lo “shutdown” si concretizzasse.
Il Problema di Obama è esclusivamente politico: i Repubblicani, soprattutto l’area più oltranzista del “Tea Party”, hanno intenzione di non far passare o comunque ritardare l’applicazione della riforma sanitaria, la cosiddetta “Obamacare” proposta dal Presidente, e approvata dal Congresso già nel 2010.
Lo “shutdown” in pratica è usato come “ricatto”, per tenere in “ostaggio” il Presidente, da 30 parlamentari dell’ala più estrema dei Repubblicani, affiancati da altri 20 di posizioni più morbide: una minoranza quindi, ma decisiva visto che i Repubblicani hanno 33 seggi in più dei Democratici alla Camera.
Obama non accetta di trattare, secondo lui i deputati del “Tea Party” offrono in cambio qualcosa che risponde unicamente “al loro lavoro”: dopo 11 giorni la situazione non sembra ancora essersi sbloccata.
Non si sa per quanto tempo, i Repubblicani, riusciranno a mantenersi compatti, visto il malcontento diffuso nel partito, non tutti sono d’accordo con le posizioni “estremiste”, e il malessere di un paese, più della metà degli americani considera i Repubblicani colpevoli del pericoloso “stallo”, che rischia sempre più la “bancarotta”.
Infatti, tra il 22 e il 31 Ottobre, il Congresso discuterà, nel merito, la legge che dovrebbe alzare il “tetto del debito”: secondo l’attuale legge la massima cifra per cui il governo statunitense può indebitarsi è di 16,7 miliardi di dollari.
Secondo le proiezioni tale limite sarà raggiunto proprio tra la metà e la fine del mese di Ottobre.
Se i due partiti della più grande “democrazia” del globo non raggiungeranno un accordo, sull’aumento del “tetto”, gli Usa dovranno dichiarare “default” sul proprio debito: non potranno più finanziarsi con la cessione di nuovi titoli di Stato, né ripagare i creditori in possesso di vecchi titoli di Stato.
L’economia statunitense, in caso di default, non sarebbe più in grado di pagare i propri debiti per ragioni politiche: nel 2011 il mancato accordo sul tetto del debito, poi raggiunto poco dopo la scadenza, costò il primo degradamento del rating Usa da parte di Standard & Poor’s.
Lo speaker Joe Boenher si è recato oggi alla Casa Bianca, insieme agli altri leader repubblicani della Camera, per un colloquio con Obama.
La distanza col Presidente è ancora significativa, anche se da fonti vicine a Obama si parla di un “buon incontro”. I Repubblicani chiedono tagli alle tasse e alla già citata Obamacare, in cambio sarebbero disposti ad alzare il “tetto” del debito per sei settimane.
Tuttavia il Presidente non sembra voler cedere ai ricatti e accusa i rivali di mandare il paese in recessione per il fatto di aver perso le elezioni.
La situazione non sembra preoccupare i mercati, anche se Wall Street sta accusando il colpo: Washington perde 300 milioni di dollari al giorno in mancati guadagni.
Non sono pochi gli economisti che pensano che, un mancato accordo sull’aumento del tetto, porterà alla svalutazione della moneta americana, alla recessione e quindi a una vera e propria depressione.