Termometro Finanziario: a due giorni dal default, Stati Uniti ancora lontani dall’accordo
I mercati finanziari hanno chiuso la settimana in euforia spinti dalla possibilità che un accordo su shutdown e tetto al debito degli Stati Uniti potesse essere raggiunto nel corso del weekend. Nulla di questo è avvenuto, anzi le parti si sono allontanate e non è previsto alcun voto al Congresso prima della serata di lunedì, ovvero nella notte europea, a due giorni e poche ore dalla fatidica data del 17 ottobre in cui gli Stati Uniti non avranno più denaro per pagare le spese autorizzate dal Congresso.
L’ultima proposta repubblicana prevedeva un rinvio della questione del debito fino al Ringraziamento e la fine della shutdown in cambio di tagli alla spesa per Medicare (ovvero l’assistenza sanitaria agli anziani) e social security. La proposta, per quanto apparentemente allettante, significa nella pratica che le trattative dovranno continuare fino al ringraziamento, per dar modo ai repubblicani di continuare con il ricatto all’amministrazione Obama.
I repubblicani tuttavia sono all’angolo: essi si ritrovano, ad un anno dalle elezioni, ai minimi termini nei sondaggi e stanno arrivando proteste dai business, che stanno soffrendo l’impatto del blocco del governo. Forte di questa difficoltà era inevitabile che Obama respingesse l’ennesima estorsione da parte dei repubblicani per ottenere la resa senza condizioni, e se possibile provocare una spaccatura fra l’ala moderata dei repubblicani e gli estremisti del Tea Party.
Si prevede quindi una certa maretta sui mercati all’inizio della settimana, in attesa di verificare se arriverà un accordo in extremis o se invece gli Stati Uniti andranno tecnicamente in default. In entrambi casi c’è un fondato rischio che l’economia statunitense torni ad affondare: se si finisse in default la fiducia nei confronti degli Stati Uniti, benchmark globale, finirebbe intaccata, mentre si avrebbero effetti negativi più concreti sulle aziende e le famiglie; nel caso in cui invece la situazione dovesse essere risolta, ma attraverso un ulteriore taglio alle spese, si rischia ugualmente un rallentamento della crescita.
La soluzione migliore sembra quindi essere quella di Obama, ovvero approvare il budget ed un innalzamento del tetto al debito ed aprire poi la discussione sulle riforme dei conti pubblici per evitare di deprimere un’economia che, pur essendo in crescita, presenta molte zone d’ombra.
Passiamo all’agenda macroeconomica, ricordando che le statistiche degli Stati Uniti potrebbero essere differite a causa del blocco del governo. Prevista per lunedì la pubblicazione della produzione industriale nella zona euro dovrebbe tornare in crescita 0,8 per cento su base mensile, ma comunque confermare una contrazione di -2,4 per cento su base annua.
Martedì verrà pubblicato l’indice ZEW, che misura il sentimento degli investitori istituzionali tedeschi: dovrebbe essere confermata la lettura di 49,6. Mercoledì verrà reso noto l’indice dei prezzi al consumo della zona euro, che si dovrebbe confermare lontano dal target di riferimento della Banca centrale europea, ovvero poco sotto il 2 per cento: l’inflazione dovrebbe attestarsi in crescita su base annua dell’1,1 per cento.
Giovedì sarà la volta delle richieste di sussidi di disoccupazione, che dovrebbero calare dopo il balzo della settimana scorsa dovuta allo shutdown, da 374 mila a 337 mila unità. L’indice della Fed di Philadelphia dovrebbe invece calare da 22,3 punti a 15.
Venerdì verrà reso noto il prodotto interno lordo cinese, che dovrebbe confermare la riscossa con una crescita dell1,9 per cento su base trimestrale e del 7,8 per cento su base annua, superiore dunque al target del governo posto a 7,5 per cento.