Il tam-tam politico-mediatico è partito: amnistia o no? Giorgio Napolitano ha inviato una settimana fa il suo messaggio alle camere (il primo in sette anni), invitandole a valutare un provvedimento di clemenza per affrontare il sovraffollamento delle carceri italiane. E da una settimana i principali protagonisti della scena politica italiana si misurano, si confrontano e si scontrano sul tema.
La compagine governativa, dal PdL al PD passando per Scelta Civica, si è espressa prontamente a favore della proposta del Presidente. Con qualche cautela e qualche distinguo, soprattutto in area democratica. D’altronde, com’è noto, amnistia e/o indulto sono temi che non raccolgono grandi consensi presso l’elettorato. Tutt’altro, come rende noto un sondaggio Ispo pubblicato oggi dal Corriere della Sera: il 71% degli italiani si dichiara contrario a ipotesi simili; un atteggiamento piuttosto trasversale rispetto alle intenzioni di voto: si va dal 63% di contrari tra gli elettori del PdL al 75% tra i sostenitori del Movimento 5 Stelle.
Prodigarsi per sostenere l’iniziativa di Napolitano “costa”, dunque, sul mercato elettorale. Anche perché è difficile tenere distinto il tema delle carceri e di un’eventuale amnistia dalla situazione giudiziaria di Silvio Berlusconi. Il ministro per le riforme Quagliariello si è intestato una battaglia per saldare questi due elementi: “È evidente che l’amnistia deve valere per tutti, nessuno può ritenere che una legge possa non essere applicata a un cittadino soltanto”. Contraddicendo, così, anche la sua collega di governo, il Guardasigilli Cancellieri che ha dichiarato che “le ipotesi di amnistia e indulto non influiranno sul destino giudiziario di Berlusconi”.
Al di là dell’entusiasmo di Quagliariello, però, nello stesso PdL si registra un atteggiamento piuttosto cauto, quasi scettico, sulla possibilità di sfruttare l’iniziativa di Napolitano per realizzare il tanto agognato salvacondotto per Berlusconi. Un fedelissimo come Sandro Bondi ha dichiarato: “Tutto il discutere a vuoto dell’amnistia è un altro capitolo dell’ipocrisia e dell’impotente ignavia che ammorbano la politica italiana. Tutti sanno che in questa legislatura non vi sono le condizioni per approvare con i due terzi del Parlamento un provvedimento di amnistia.” Una linea che sa tanto di chi vuole tenere bassi i toni e lasciare che siano gli altri a logorarsi nel dibattito.
Allineato al sentimento popolare di contrarietà all’amnistia è chiaramente Beppe Grillo, che dal suo blog ha invitato il Presidente Napolitano ad andare in TV a spiegare agli italiani che l’amnistia si applicherà anche a Berlusconi.
In casa PD il tema rischia di riaccendere i contrasti interni in vista del congresso (o meglio, delle primarie) di dicembre. A fiutare l’opportunità di rafforzare i suoi consensi è stato innanzitutto Matteo Renzi, etichettando le ipotesi di amnistia o indulto come “un clamoroso autogol”. Accusato di andare contro Napolitano, Renzi ha “educatamente” chiarito che commentare nel merito il contenuto del messaggio del Presidente non è un reato di lesa maestà. “Se ogni sette anni si fa un indulto” – è il ragionamento del sindaco di Firenze – “non c’è certezza del diritto”. Una posizione diversa da quella che lo stesso Renzi sosteneva qualche anno fa, quando sosteneva le battaglie di Marco Pannella per l’aministia (come ricorda maliziosamente Pippo Civati stamattina nel suo blog). Ma nemmeno cambiare idea, si potrebbe dire, è un “reato”.
Il problema che sta dietro a tutte le schermaglie politiche, governative e congressuali è che l’amnistia rappresenterebbe un mastodontico gesto di “resa” da parte dello stato di diritto nel nostro Paese. Renzi sfrutta la questione nella prospettiva delle primarie, ma ha sostanzialmente ragione quando dice che il problema del sovraffollamento delle carceri non può risolversi svuotandole periodicamente con amnistie o indulti. L’ultimo provvedimento analogo è stato adottato nel 2006, e da allora non si registra un solo intervento di carattere strutturale per affrontare il tema.
La capienza totale delle carceri italiane non è stata aumentata per accogliere un numero crescente di detenuti, né si è fatto abbastanza sul versante delle misure alternative alla detenzione. La depenalizzazione di alcuni reati, a partire da quello di clandestinità e da quelli legati alla tossicodipendenza, sarebbe un altro intervento in grado di dare respiro alle sovraffollate carceri italiane.
Probabilmente ha ragione Pippo Civati quando afferma che se è vero che “la legalità è di sinistra” è anche vero che, nello stato attuale in cui si trovano, le carceri italiane sono letteralmente illegali (l’Italia sta violando la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, tenendo i suoi detenuti in condizioni inumane e degradanti).
Civati propone una serie di provvedimenti strutturali (sul versante dell’ingresso in carcere, delle misure alternative, della custodia cautelare) da accompagnare ad un circoscritto e condizionato provvedimento di clemenza. Misure ineccepibili, non c’è che dire.
Un ragionamento inoppugnabile, il suo. Ma rimane un dubbio: in un momento in cui la fiducia degli italiani verso la politica e i partiti rasenta davvero lo zero, e in cui il sospetto che un provvedimento del genere (per quanto giustificato dall’emergenza reale delle carceri italiane) possa anche finire per favorire politici, burocrati e “colletti bianchi” di vario genere, è davvero così indispensabile affrontare la questione con questa sollecitudine? Sarà possibile spiegare ad un’opinione pubblica tremendamente scettica che il problema della carceri è diventato (improvvisamente) un’autentica priorità e che la situazione di Berlusconi non c’entra davvero nulla? Affrontare il tema in questo momento, e con questa maggioranza, non rischia di diventare veramente un “clamoroso autogol”?