Destre diverse
Helmut Kohl, classe 1930, ha guidato la CDU dal 1973 al 1998 e, avendo vinto quattro elezioni consecutive, è stato ininterrottamente Cancelliere federale dal 1982 al 1998. Ha promosso l’integrazione comunitaria che ha portato alla firma del Trattato sull’Unione Europea ed è unanimemente riconosciuto “Padre della Patria” per aver guidato la riunificazione tedesca tra il 1989 e il 1990. Dimessosi dalla presidenza del partito dopo la sconfitta contro Gerhard Schröder, è stato coinvolto in uno scandalo di finanziamenti illeciti che lo ha costretto ad abbandonare la scena, lasciando spazio alla nuova generazione di Angela Merkel.
Silvio Berlusconi, nato nel 1936, è stato, tra il 1994 e il 2011, quattro volte Presidente del Consiglio per nove anni complessivi. Coinvolto, già dal 1979, in inchieste e procedimenti giudiziari, nel 1994, per dedicarsi meglio alla tutela del proprio interesse, è “sceso in campo” fondando il partito dei moderati con i dirigenti Publitalia e gli scarti politici della prima repubblica. Mentre il PIL crollava e spesa pubblica e pressione fiscale salivano facendo impennare il debito (nel 2007 era il 103% del PIL per salire al 121% nel 2011*), Berlusconi ha impegnato il suo Governo e le ampie maggioranze parlamentari che lo sostenevano per cambiare le leggi penali e processuali che, stravolte, gli avrebbero garantito l’impunità. Ciononostante, le condanne, pesanti, sono infine arrivate.
Le reazioni alla sentenza della Corte di Cassazione del 1 agosto sul processo Mediaset e alla conseguente pronuncia della Corte di Appello milanese sul ricalcolo dell’interdizione dai pubblici uffici hanno mostrato, anche all’osservatore più imparzialmente “terzista”, che la destra italiana è ben diversa da tutte le destre europee. David Cameron ha detto a Repubblica che «essere un moderno conservatore significa aiutare chi vuole lavorare duramente a realizzare le proprie aspirazioni… Dovrebbe essere naturale per il centrodestra promuovere una grande società: dopotutto noi vogliamo una società più forte, non uno Stato più forte». Nel Belpaese, invece, i “moderati” non hanno mai proposto un’idea di società perché, unica priorità, continua a essere, ostinatamente da vent’anni, la tutela degli affari del “Padre Nobile” e dei suoi accoliti. Il Financial Times, lo scorso 2 agosto, auspicando il definitivo passo indietro del Cavaliere, si è augurato che i suoi parlamentari abbandonassero Berlusconi e il suo populismo per abbracciare il liberalismo. Invece, il bestiario berlusconiano, dalla più minacciosa pitonessa alla più mite colomba, passando per falchi e amazzoni, reitera a reti unificate la fesseria della persecuzione giudiziaria, nega la fondamentale indipendenza della Magistratura quale autonomo Potere costituzionale, con sfacciata disonestà intellettuale mette in discussione tutti i principi dello Stato di Diritto. Come il voto di fiducia dello scorso 2 ottobre non ha segnato la fine di Berlusconi, nemmeno gli ultimi tentativi di costituzione della “sezione italiana” del PPE saneranno l’anomalia italiana.
I nostri parlamentari “moderati” mancano dello spessore ideologico e morale dei lori colleghi europei. E sbaglia Gramellini a scrivere che “gli italiani” invidiano i tedeschi: il fallimento di Monti dimostra, oltre ogni ragionevole dubbio, che il berlusconismo è, davvero, l’autobiografia di una parte consistente del Paese, di quell’elettorato di destra che trova il proprio campione non in un importante economista ma in un buffone che imbarazza ovunque. Ovunque tranne qui.
* Istat, Rapporto Annuale 2013
Andrea Enrici