Domenica 18 ottobre la Bolivia torna al voto dopo il turbolento post-elezioni dell’ottobre 2019 e i numerosi rinvii a causa della pandemia. I cittadini boliviani sono chiamati ad eleggere il Presidente e a rinnovare il Senato e la Camera dei Deputati. La tornata è particolarmente importante perché le opposizioni sperano di rompere definitivamente l’egemonia di Evo Morales e del suo partito, il Movimiento al Socialismo (MAS), che aveva governato ininterrottamente il paese dal 2006 al 2019. Inoltre, il paese è un osservato speciale dopo le passate elezioni del 20 ottobre 2019 a cui seguirono accuse di brogli elettorali e scontri che causarono 32 morti.
Il contesto
Le attuali elezioni sono state annunciate dal dimissionario Evo Morales il 10 novembre 2019 nel mezzo delle proteste che erano seguite dopo le elezioni del 2019 poi annullate per presunti brogli elettorali. Originalmente previste per il 3 maggio 2020, sono state posticipate varie volte a causa della pandemia ma questa sembra essere la volta buona.
Attualmente la leader del paese è Jeanine Añez, membro dell’opposizione eletta dopo il caos istituzionale e politico del 2019 in quanto Vicepresidente del Senato. Infatti, oltre al Presidente Morales anche gli altri membri del MAS con incarichi istituzionali, tra cui il Vicepresidente Álvaro García Linera e la Presidente del Senato Adriana Salvatierra, si erano dimessi in blocco. Nonostante la sua iniziale intenzione a correre in queste elezioni, la Añez ha rinunciato alla candidatura nel settembre 2020.
Queste sono le prime elezioni dal 2002 in cui Evo Morales non è presente sulla scheda elettorale. Immediatamente dopo le sue dimissioni, l’ex-Presidente è prima andato in Messico e poi in Argentina dove tutt’ora vive come rifugiato politico. Ha provato a candidarsi come Senatore nel dipartimento di Cochabamba ma la sua candidatura è stata rifiutata dal Tribunale Supremo Elettorale in quanto non residente in Bolivia.
La Covid-19 ha colpito duro nel paese andino. Al momento la Bolivia è il secondo paese del Sudamerica con più morti pro capite ed è superata solo dal Perù. Oltre all’emergenza sanitaria, le previsioni sul PIL della Bolivia per il 2020 della Banca Mondiale sono fosche. Il PIL dovrebbe diminuire di circa il 5,9%, la peggior caduta dagli anni ottanta, e la disoccupazione urbana dovrebbe salire dal 4,2% al 7,4%. Il recupero dell’economia post-Covid è sicuramente uno dei temi più importanti della campagna elettorale. A questo tema si aggiunge la sempreverde lotta alla corruzione, un must di ogni campagna elettorale latino-americana.
Il tema che scalda però più gli animi è la riforma del sistema giudiziario. Si sprecano infatti le accuse tra le varie parti di usare la giustizia contro oppositori politici. L’accusa viene mossa sia verso gli anni di Morales (2006-2019) sia verso l’ultimo anno della Presidente Añez. Tutti i campi promettono di non lasciare impuniti gli abusi compiuti dalla parte opposta e di rendere veramente indipendente il potere giudiziario.
Quest’ultimo tema in realtà rispecchia molto bene il vero tema centrale della campagna elettorale: la continuità o meno con gli anni di Morales. Ovviamente il MAS vuole continuare con il modello di sinistra latino-americana che ha caratterizzato gli anni 2006-2019 mentre le opposizioni voglio un cambio radicale del sistema economico e sociale che accusano essere dittatoriale e populista.
La distribuzione geografica dei voti sarà molto importante in un paese che ha sfiorato la guerra civile solo un anno fa. L’Altopiano andino, tra cui i due popolosi dipartimenti di La Paz e Cochabamba a maggioranza Quechua e Aymara, è storicamente favorevole alla coalizione di Morales mentre Santa Cruz, la provincia più grande e ricca del paese a maggioranza meticcia e bianca, è la tradizionale roccaforte delle opposizioni.
A questo scenario si aggiunge il voto dei boliviani all’estero. La comunità più numerosa vive in Argentina ed è una strenua sostenitrice di Evo Morales. Basti pensare che nel 2014 Morales vinse tra i boliviani in Argentina con il 92% e si parla di circa 70.000 voti. Per farla breve, nel caso di una elezione sul filo di lana, i voti provenienti da Buenos Aires potrebbero fare la differenza.
Leader e partiti della Bolivia
Luis Arce: originario di La Paz, dopo una carriera professionale nella Banca Centrale è diventato ministro dell’Economia di Morales (2006-2017 e 2019) ed è ovviamente appoggiato dal MAS, un partito socialista d’ispirazione indigenista. È alla sua prima esperienza elettorale non essendo mai stato eletto precedentemente per nessuna carica politica. Ha promesso di non cercare la rielezione tra 5 anni. È considerato un esponente dell’ala moderata del MAS al contrario del suo candidato vicepresidente, David Choquehuanca, ex-Ministro degli Esteri, che invece è considerato un membro della fazione radicale.
Carlos Mesa: originario anche lui di La Paz, è già stato Presidente della Bolivia tra il 2003 e il 2005, l’ultimo prima dell’era Morales. Era il candidato dell’opposizione alle elezioni del 2019 contro Evo e si ripresenta con l’appoggio di Comunidad Ciudadana (CC), un’alleanza centrista con anime liberali e socialdemocratiche. L’attuale Presidente Añez lo appoggia.
Luis Fernando Camacho: originario di Santa Cruz, ha costruito la sua carriera politica come Presidente del Comité Civico de Santa Cruz, un’organizzazione che riunisce varie associazioni imprenditoriali e civili del dipartimento. Ha guidato lo sciopero che ha paralizzato il paese dopo i presunti brogli elettorali dell’ottobre 2019. Fervente cristiano ed accusato di razzismo e misoginia, è appoggiato dalla coalizione Creemos (CRE) con una chiara tendenza di destra e con chiari connotati regionalisti.
Chi Hyun Chung: medico di origine coreana, pastore evangelico e Presidente della Chiesa Presbiteriana di Bolivia. Corre con una piattaforma conservatrice di matrice marcatamente religiosa. Si è classificato terzo alle elezioni annullate del 2019 ed è appoggiato dal Frente para la Victoria (FPV).
Feliciano Mamani: sindacalista minerario appoggiato dal partito PAN-BOL. La sua candidatura è una spia del malcontento di alcuni operai e minatori verso le politiche industriali di Morales.
María Bayá: scrittrice, è appoggiata dall’Acción Democrática Nacionalista (ADN), un partito di destra conservatrice fondato dall’ex dittatore Hugo Banzer.
Nell’ultimo mese si sono ritirati dalla corsa la già menzionata Jeanine Añez e Jorge Quiroga, ex-Presidente della Bolivia (2001-2002).
Il sistema elettorale della Bolivia
Come in molti paesi con un sistema presidenziale, l’elezione per il Presidente si svolge su due turni prevendo un eventuale ballottaggio tra i due candidati più votati. Per evitare il ballottaggio, che si terrebbe il 29 novembre 2020, il candidato con più voti deve superare la soglia del 50%+1 dei voti espressi o in alternativa superare la soglia del 40% e avere una distanza superiore del 10% dal secondo candidato.
Per quanto riguarda il Senato invece i boliviani sono chiamati ad eleggere 36 Senatori, quattro per ciascuno dei nove dipartimenti del paese, con il metodo proporzionale in collegi plurinominali.
Il sistema elettorale per eleggere i 130 Deputati è invece un po’ più complesso. Del totale dei Deputati, 60 verranno eletti in collegi uninominali mentre 63 verranno eletti con il sistema proporzionale in collegi plurinominali che corrispondono ai Dipartimenti. I rimanenti 7 seggi speciali sono assegnati alle minoranze etniche come per esempio gli afro-boliviani, i Guaraní o i Mosetén.
Sondaggi
Gli ultimi cinque sondaggi pubblicati ad ottobre suggeriscono un’elezione presidenziale combattuta. I due favoriti per un eventuale ballottaggio sono Luis Arce e Carlos Mesa mentre Camacho è distanziato. Un sondaggio prevede la vittoria al primo turno di Luis Arce, tre invece suggeriscono una sua vittoria superando il 40% senza però distanziare Mesa del 10% necessario per evitare il ballottaggio mentre l’ultimo vede i due candidati sostanzialmente pari e sempre il ballottaggio necessario. In tutti e quattro i sondaggi, un eventuale ballottaggio verrebbe vinto da Carlos Mesa, sebbene alcuni prevedano una vittoria striminzita mentre altri una vittoria più larga. Gli indecisi sono numerosi e sono quantificati tra il 18% e il 28%.
Va ricordato che questi sondaggi presentano due problemi che potrebbero suggerire un voto più favorevole a Luis Arce al primo turno. Da un lato, il voto dei boliviani all’estero non viene considerato mentre dall’altro le comunità rurali, storicamente favorevoli al MAS, sono usualmente sottorappresentate in questi sondaggi.
I sondaggi per la Camera dei Deputati e il Senato sono pochi ma suggeriscono che il rischio di una Assemblea legislativa dal segno opposto di quello del Presidente è possibile. Alla Camera, 58 seggi andrebbero a Comunidad Ciudadana, 51 al MAS e 21 a Creemos.
Al Senato invece l’alleanza di Carlos Mesa dovrebbe prendere la metà dei seggi (18), seguiti dai 14 del MAS e dai 4 dell’alleanza di Camacho. Dai sondaggi quindi sembrerebbe che il MAS perderebbe la maggioranza di entrambe le camere e che un’eventuale alleanza Mesa-Camacho potrebbe avere la maggioranza in entrambi i rami. Se venisse eletto al primo turno Luis Arce, il nuovo Presidente si troverebbe ad affrontare un’Assemblea ostile.
Forse però il sondaggio più importante è un altro. Secondo un rilevamento dell’iniziativa “Tu voto cuenta” ad inizio ottobre ben il 45,4% dei boliviani non crede che il risultato delle elezioni verrà rispettato. Una percentuale altissima, leggermente superiore del numero di coloro che invece credono che verrà rispettato (il 43,1%). La perfetta fotografia di un paese spaccato e sfiduciato per il post-elezioni.