Consegnate le firme necessarie per la propria candidatura alla carica di segretario del Partito Democratico, i quattro competitors hanno cominciato un lungo giro della penisola incontrando iscritti, militanti, simpatizzanti, persone comuni, interessati e sfiduciati. Lo scontro, che si prefigura non violento come quello del 2009, si terrà domenica 8 dicembre, nei numerosissimi seggi allestiti dal partito, tra Pippo Civati, Gianni Cuperlo, Gianni Pittella e Matteo Renzi.
Analizziamo sinteticamente le mozioni in ordine cronologico di deposito.
Gianni Cuperlo. Deputato ed ultimo segretario dei Giovani comunisti si candida a segretario democratico addirittura a maggio. Sostenuto da una importante fazione, quella che comunemente viene rintracciata nel nome di “apparato”, dalemiani e bersaniani in primis, viene per questo inquadrato come un dirigente grigio e conservatore che cercherebbe di riprodurre il partito pesante, novecentesco, ispirato alla socialdemocrazia tedesca degli anni cinquanta. Insomma le stesse critiche mosse verso Bersani del 2009. Sono giudizi troppo estremi anche se l’ex segretario della FGCI è il candidato più marcatamente di sinistra e che cerca di recuperare i suoi valori storici: “comunità e profezia della sinistra” . Cuperlo parla di un Pd “radicato, non burocratico, con organismi più snelli, in grado di discutere e decidere, con un’ampia rappresentanza eletta dai territori”, che si faccia rete con associazioni e movimenti. Un partito che sia partecipato, nel senso di investire le risorse sui territori dai quali si evinca la linea del partito, anche attraverso dei referendum sulle singole issues (iniziativa, da tempo, sposata da D’Alema). In questa mozione si ha la visione di un Pd “pronto”, che dia valore al merito e punti sulla formazione politica per iscritti, militanti e dirigenti al fine di “tornare a conoscere per tornare a capire”. Un partito trasparente ed europeo che riunisca le forze progressiste, democratiche e socialiste europee sotto una singola sigla di sinistra europea con l’obiettivo di costituire gli Stati Uniti d’Europa. Cuperlo è fortemente convinto della necessità di scissione delle cariche di segretario da presidente del consiglio. E’ quindi per l’abolizione dell’articolo 3.1 dello statuto democratico che prevede questo automatismo.
Pippo Civati, deputato ed ex consigliere regionale lombardo. Un percorso molto simile a quello di Matteo Renzi, avendo anch’egli militato nelle fila dei “rottamatori’’, salvo uscirne polemicamente tempo dopo. Proprio per questo sembra collocarsi come il candidato più anti-renziano. Il fulcro della sua mozione è “l’ossessione del protagonismo degli elettori del Pd”: per troppo tempo il partito ha allontanato gli elettori attraverso le delusioni politiche. L’intento di Civati è ricostruire questo rapporto. Il disagio nel paese è forte e la casa nel quale questo malessere può essere risolto è il Pd che lui ha in mente. Anche attraverso Sel, la quale dovrebbe confluire all’interno del Partito Democratico. Un punto anche sull’Europa: il Pse “aperto all’alleanza dei progressisti, sull’idea dell’Ulivo”. Interloquire con la sinistra e coi Verdi è quindi d’obbligo.
Gianni Pittella, eurodeputato e vicepresidente del Parlamento Europeo. Pittella, la cui mozione si intitola “Per un partito democratico, solidale, europeo”, dice di pensare, anzitutto, all’Italia: “non si può pensare al Pd senza pensare prima al paese”. Il Pd che ha in mente il deputato all’Europarlamento è un partito che dia “piena cittadinanza ai laici, ai cattolici e ai socialisti, strettamente collegato alla famiglia del socialismo europeo che abbia azione visione, coraggio e passione”. Il ritorno a stare tra la gente, per la gente, è d’obbligo. E per questo la legge elettorale va cambiata perché toglie la possibilità ai cittadini di scegliere i loro rappresentanti. Il Pd deve rimanere unito, nonostante le decine di anime che lo vivono, perché la scissione sarebbe una sciagura. Di qui l’alleanza con Vendola sarebbe consequenziale. Il Pd dovrà sburocratizzarsi: si è scelto, dice, di essere approssimativi nel seguire le priorità politiche ed intransigenti nell’applicazione di metodi e procedure”, arrivando alla immobilità partitica e quindi alla burocratizzazione. Un occhio, naturalmente, è puntato al sud: sviluppo, legalità, lavoro. “Il mezzogiorno nel mio programma è centrale”.
Matteo Renzi, il super favorito. Sindaco di Firenze e leader del movimento dei “rottamatori” ha incassato, nell’ultimo mese, l’appoggio di duecento parlamentari transfughi da altre componenti. E’ anche il candidato verso il quale gli altri competitors si scagliano più ferocemente per la sua, dicono, mancanza d’idee. “Cambiare verso al Pd”. Questa è la parola d’ordine di Renzi e dei suoi. La sua idea di partito ripercorre quella che ha della società: cambiare tutto. Adesso. La gestione del Pd è stata scadente per l’ex presidente della provincia fiorentina. Passare da ottocentomila a duecentocinquantamila iscritti in quattro anni è la fotografia più lampante della inefficienza dirigenziale, contro la quale si era già scagliato nel novembre 2012 in occasione delle primarie per il candidato presidente del consiglio. Il Pd di Renzi è un partito molto simile a quello di Veltroni: aperto, che recuperi i voti dalle fila grilline e del centro destra, più orizzontale e meno piramidale. Un partito che abbia tre basi: i militanti nei circoli, ovvero il raccordo tra partito e cittadini, gli amministratori locali, depositari delle decisioni e i parlamentari. E’ attento agli amministratori locali, esperienza dal quale egli proviene, ed alla formazione politica. Desidera un partito concentrato sul settore della pubblica amministrazione, delle pensioni e della scuola. Che rimetta al centro il lavoro. Conclude il discorso con un’idea suggestiva quanto difficile da realizzare: rottamare le correnti. Un’iniziativa che avrebbe evitato a più segretari di saltare.
A quaranta giorni dalle elezioni primarie l’esito sembra quasi scontato: Renzi si avvia verso una facile vittoria. L’ostruzionismo presentatosi nel fine 2012 stavolta non c’è. Centinaia di parlamentari, dirigenti regionali, provinciali e segretari di circoli sono passati dalla sua. Ma non bisogna dare per certa la vittoria. Gli altri candidati sono in ripresa. E poi quella di Renzi potrebbe trasformarsi in una vittoria di Pirro: i congressi di circolo e di federazione (provinciali) sembrano più indirizzati verso Cuperlo e quindi il sindaco di Firenze potrebbe non raggiungere il 51% al congresso interno. Questo, qualora Renzi vincesse le primarie, porterebbe ad una difficile coabitazione all’interno del partito: gli iscritti che non danno la maggioranza della fiducia a quello che i cittadini indicano come leader dei democratici. Se così fosse non sarebbe la prima volta che di fronte il Pd si palesasse un problema di instabilità. Sembra, anzi, che il Pd ci abbia fatto il callo.
Daniele Errera