Il 3 novembre gli elettori di 34 Stati voteranno per scegliere chi inviare per 6 anni al Senato degli Stati Uniti (con eccezioni: in Arizona e Georgia si tratta di elezioni speciali). Tra questi figura l’Iowa, Stato bianco e agricolo dove il Midwest incontra l’Ovest. Dopo la doppia vittoria di Obama, il gelo delle grandi pianure sembrava essere calato irreparabilmente sui democratici. Nel 2014, al pensionamento del beneamato Senatore Democratico Tom Harkin (dopo 30 anni), l’elettorato si è spostato decisamente a destra, coronando Joni Ernst con un margine soddisfacente – 52,1% contro 43,8%. Nel 2016, Trump vinse senza alcun problema con quasi 10 punti percentuali di distacco dalla sfidante Democratica.
Per quanto riguarda la composizione, lo Stato non è molto rappresentativo dell’intera Nazione. Con una crescita della popolazione che si aggira entro al 5% ogni decennio, essa resta per il 90% composta da bianchi. Solo il 5% della popolazione è di origine ispanica, e meno del 4% è afroamericano. Qui le città sono di piccole dimensioni, con un’importante settore agricolo che tuttavia non riesce a frenare l’emorragia di popolazione delle contee rurali. La capitale è Des Moines (215mila abitanti circa). Posta al centro geografico dello Stato, è un centro importante per il settore assicurativo. Le cittadine universitarie di Iowa City e Ames sono serbatoi di voti democratici. Davenport e Bettendorf sono due cittadine ex industriali poste al confine con l’Illinois e parte di un nucleo denominato Quad Cities assieme alle controparti oltreconfine di Moline e Rockland. L’area ha sofferto pesanti conseguenze dalla deindustrializzazione, pari ad altri centri della Rust Belt, e nei decenni a cavallo del XX e XXI secolo le autorità hanno tentato di diversificare e risollevare l’economia; ciononostante, il manifatturiero resta il settore dominante. Poco distante da Iowa City, Cedar Rapids è la seconda città per popolazione e altro serbatoio Democratico, mentre la metà occidentale dello Stato (con la città principale Sioux City e il sobborgo di Omaha, Council Bluffs) è solidamente conservatore.
L’Iowa è famosa come uno Stato che tiene a lungo i propri Senatori. Oltre al caso del mandato trentennale del predecessore di Joni Ernst, l’attuale senior Senator, Chuck Grassley (classe 1933), è in carica dal 1980. Ma quest’anno potrebbe essere la volta in cui lo Stato tradirà la sua tradizionale benevolenza. E l’Iowa potrebbe decisiva per il controllo del Senato.
Le motivazioni dell’incertezza
Alla base della debolezza della senatrice Ernst sta, come in casi analoghi altrove, la difficile posizione del Presidente. Già nel 2018, i Democratici hanno avuto un enorme aumento di popolarità nelle elezioni per i quattro seggi in palio per la Camera dei Rappresentanti. Infatti, hanno strappato due dei tre seggi in mano Repubblicana; in tutti e quattro i distretti, lo spostamento verso il Partito Democratico è stato molto consistente. Nel 1st Congressional District, la conquista è stata ottenuta con un aumento del 13% per i Democratici rispetto al 2016, nel 3rd con un +16%. Inoltre, hanno mantenuto il 2nd con un + 5%, e hanno perso il 4th nonostante un impressionante +19% – risultato particolarmente degno di nota data la composizione del distretto: rurale, bianco e più anziano della media nazionale.
Dopo il 2016 sembrava che l’Iowa avesse cessato di essere uno swing State. Gli elettori hanno dimostrato il contrario due anni dopo. Nel 2020, la partita è tutta da giocare. E dopotutto, quest’area ha un rapporto particolare con la politica: enorme campo di battaglia in tempo di primarie, nonostante la sua composizione demografico-sociale omogenea esso non ha mai del tutto escluso i Democratici da possibilità di successo. Lo scontento degli Iowans nei confronti dei Repubblicani può essere imputato sia agli effetti disastrosi dei dazi derivati dalla guerra commerciale con la Cina e patiti in prima persona dagli agricoltori di soia e grano, industrie particolarmente importanti, sia per gli effetti negativi della pandemia.
Ciò che sembra indebolire particolare Joni Ernst, in questo momento, è essersi legata troppo al Presidente. Unico Senatore in carica per la rielezione a parlare alla Convention di agosto, durante il mandato ha strizzato l’occhiolino più alla base conservatrice che all’elettorato più ampio. Sul tutto, una questione dell’ultimo minuto non la sta aiutando: l’elezione della giudice Amy Coney Barrett. Ernst è infatti nella commissione giustizia, e ci si aspetta che voti con il suo partito a favore di questa nomina, da molti vista come illegittima o perlomeno inopportuna a così poca distanza dalle elezioni.
Ultimo fattore da considerare: la nazionalizzazione della corsa. Questa è la prima volta che la Ernst si è confrontata con un’elettorato da presidenziali, essendo stata eletta durante una elezione di midterm. Allora fu brava a risvegliare ed unire l’elettorato conservatore, ma questa volta si trova di fronte a una massa di elettori che non aveva votato nel 2014. Appare sempre più probabile che la sfiducia verso il Presidente per i fattori ricordati più sopra si rifletta downballot.
I candidati
Sen. Joni Ernst (R)
Delle difficoltà dell’incumbent si è già parlato, ma cerchiamo di addentrarci nella campagna e nel personaggio. Nel 2014 ha ottenuto un buon risultato anche grazie a una strategia di comunicazione che ha goduto di notevole celebrità. Cresciuta in una fattoria ed ex militare, ha usato il suo background come garanzia di indipendenza e incorruttibilità nel mondo del lobbismo della Capitale. Dalla sua elezione, avvenuta mobilitando soprattutto la fazione più conservatrice in un anno di grande successo per i Repubblicani, sembra aver deluso le aspettative. L’avversaria democratica l’accusa di aver accettato donazioni da lobby petrolifere, e la Senatrice ha votato nella quasi totalità delle volte secondo la linea della leadership di partito. Dal canto suo, Ernst sostiene di aver messo gli abitanti dell’Iowa al primo posto e di aver saputo lavorare con colleghi dei due partiti. La Senatrice ha iniziato in estate un 99 County Tour, con l’obiettivo di visitare ogni contea dello Stato. Data l’emergenza sanitaria non si tratta di eventi di grandi dimensioni, ma incontri mirati. Un aiuto le arriva anche dal popolare governatore Terry Brandstad, che ha iniziato a fare campagna per Trump ed Ernst. Oltre ai questi ultimi, ha ricevuto l’endorsement di gruppi di interesse come National Rifle Association, U.S. Chamber of Commerce, Iowa Cattlemen’s Association, Iowa Corn Growers Association.
Theresa Greenfield (D)
Una novellina della politica, anche lei è cresciuta in fattoria. Dopo la laurea ha svolto l’attività di regional e urban planning prima di passare al campo immobiliare. Facendo leva sul suo passato rurale promette di sostenere gli interessi degli agricoltori eliminando i dazi. Inoltre, il suo ruolo di pianificatrice, dice, l’ha resa più attenta alle necessità materiali del suo Stato, che non hanno colore politico. Infine, l’esperienza della morte del primo marito, elettricista, a soli 24, la portano, dice, a sostenere i benefit dell’assistenza pubblica che le avrebbero dato una mano a ricominciare. Durante la campagna, ha promesso di non accettare donazioni dalle grandi corporation, anche se l’avversaria le critica il fatto di accettare comunque donazioni dai lobbisti delle corporation stesse. Come molti suoi colleghi, Greenfield pone l’accento sulla questione della riforma del sistema sanitario, cavallo di battaglia dei Democratici nel 2018 e attuale oggi a causa della pandemia in corso. Ms. Greenfield non ha tenuto incontri dall’inizio della pandemia fino all’estate, poi ha iniziato a tenere piccoli incontri. Secondo dati della Federal Elections Commission, mantiene un vantaggio di circa 2 milioni di dollari in fundraising rispetto ad Ernst, riproponendo in prospettiva statale ciò che si vede a livello nazionale, con la campagna di Biden che supera quella di Trump a livello di contributi. Dal punto di vista ideologico, non si spinge a sostenere il Green New Deal, mantenendosi su posizioni più pragmatico-moderate. Ha ricevuto l’endorsement dell’ex Presidente Obama, di Elizabeth Warren ed Amy Klobuchar, oltre che di molti sindacati come l’AFL-CIO e la United Steelworkers e del Des Moines Register, il quotidiano più importante dello Stato.
Rick Stewart (Libertarian Party)
Il Partito Libertario, eterno terzo, schiera l’ex imprenditore, ormai pensionato Rick Stewart. Prima poliziotto, poi insegnante, poi fondatore di Frontier Food Products Co-operative, ora fa la spola tra l’Iowa e il Guatemala dove si adopera in un orfanatrofio e scuola elementare. Il tutto, dice, “scalando vulcani locali per guadagnare fondi per questi progetti”. In linea con il pensiero libertario, sostiene la fine di tutte le guerre, l’abolizione della Federal Reserve, la compressione del bilancio del governo federale (con conseguente riduzione del debito), ristrutturazione dei programmi pubblici, snellire e semplificare il governo centrale.
Suzanne Herzog (Indipendente)
Cresciuta in contesto rurale, ma viaggiatrice da giovanissima grazie a programmi di scambio cui la famiglia partecipava, ha diviso la sua carriera tra assistenza sanitaria (prima) e ricerca economica (poi). Promette di unire le conoscenze in campo economico e sanitario per portare al Campidoglio un approccio equo alla riforma del sistema sanitario. Sostiene un programma per rendere più trasparente l’attività federale, limitare i mandati dei rappresentanti al Congresso e rendere il governo più efficiente. Ideologicamente, si pone in opposizione al pensiero liberista che ha dominato la politica democratica dei due partiti maggiori da decenni. Nel suo programma si notano toni che l’avvicinano al tipo di retorica dei Democratic Socialists in campo economico, ma si guarda dal sostenere un sistema sanitario pubblico universale, preferendo piuttosto un programma di riforma con al centro una riorganizzazione delle logiche delle assicurazioni private (che comunque rimarrebbero attori centrali).