Renzi non ha annunciato la sua candidatura. Ha annunciato una battaglia sui temi. Questa scelta da parte del sindaco fiorentino di “star cheto” potrebbe far esultare qualche dirigente della segreteria nazionale del Pd, desideroso di rinviare un’ipotetica resa dei conti. Ma in realtà questo stesso temporeggiamento, questa sorta di velata arrendevolezza lontana dall’istintività renziana rischia di essere la pietra tombale di una classe dirigente e di una linea politica. Quella del Pd.
Ma andiamo con ordine.
[ad]La Leopolda aveva scatenato mille interrogativi: non si sapeva quasi nulla del programma e sul format. Le notizie logistiche riguardavano solamente la location oltre che la data della kermesse.
Non si sapeva come sarebbe stato organizzato il dibattito e la stessa scansione cronologica del tutto (il “Termometro Politico” era presente alla Leopolda e ha garantito la diretta di tutto il dibattito). Già nel corso della manifestazione non si avevano certezze sull’inizio dei lavori il giorno successivo.
Il “Big Bang” come evento politico è stato un salto nel buio in tutti i sensi: non era chiara l’organizzazione della convention e chi avrebbe partecipato. Ma soprattutto non si sapeva politicamente cosa sarebbe uscito fuori. Cosa avrebbe detto Renzi e quali prospettive avrebbe delineato una sua ipotetica discesa in campo?
Un salto nel buio così portentoso non poteva che spaventare qualcuno al Nazareno. E forse lo scetticismo nel tempo si è così alimentato che in casa democratica, una volta iniziato il tutto, sono partiti attacchi inferociti tutti diretti alla Leopolda. Che innegabilmente, per quanto riguarda le consuete manifestazioni politiche del fine settimana italiano, ha messo in ombra tutti gli altri eventi in corso, in primis la scuola di formazione politica del Pd a Napoli.
L’uscita di Civati (non è questa la sede per analizzare se si è trattato di un’espulsione o di un allontanamento volontario, ci basta la querelle Fini – Berlusconi…) rendeva anche indefinito, oltre che il programma, il “popolo di Renzi”. Tanto che per attrarre ulteriormente attenzione sono state lanciati alla vigilia della tre giorni i nomi di Giorgio Gori della Magnolia, di Campo Dall’Orto di Mtv e del regista di scuola vanziniana Fausto Brizzi.
E proprio il tema del “popolo di Renzi” è uno dei risultati più importanti di questa tre giorni assieme alle conclusioni politiche vere e proprie.
Si è infatti vista in sala la presenza di vari segmenti della società: da una copiosa delegazione siciliana supporter del consigliere regionale Faraone a quella emiliana del presidente del consiglio regionale emiliano Richetti passando per parte del Partito Democratico della Toscana. Quella non in rotta con Renzi. Ma apparivano anche, oltre che cittadini fiorentini incuriositi dalle mosse del loro sindaco, ex elettori del Pd o comunque persone “politicamente curiose”. Non è escluso che ci fossero ex elettori del centrodestra.
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[ad]Questo popolo indefinito ha spinto molto spesso ad interventi strani. Anche opinabili. Tanto che è stata percepita una quanto mai sospetta presenza di uomini della scuderia Mediaset. Per non parlare poi di un ex concorrente del Grande Fratello. Un elemento in più per perorare la tesi secondo cui in realtà se Renzi ha un punto debole è proprio la comunicazione, visto che interventi di questo tipo rischiano di attirare critiche semplicistiche da parte dei suoi detrattori. Mentre assume il ruolo di “presenza enigmatica” quella dell’ex calciatore milanista Alessandro Costacurta che sabato pomeriggio in prima fila accanto a Sergio Chiamparino ha dato vita ad una coppia del tutto inedita. Chi segue la politica con passione da almeno un decennio mai si sarebbe aspettato di vedere una coppia così assortita davanti ai suoi occhi!
Ma le conclusioni politiche quali sono state? Il fatto che parte del popolo della Leopolda fosse deluso dalla conclusione di Renzi è da considerarsi come un fattore negativo? E come si è comportato il resto del centrosinistra nei confronti della kermesse fiorentina?
Le conclusioni politiche stanno nel fatto che Renzi ha detto che sarebbe sbagliato considerare la Leopolda come il luogo di elaborazione per una candidatura alternativa. Deve essere più che altro un punto di partenza, di elaborazione di idee attraverso specifici strumenti.
Una conclusione strana e molto rischiosa. Ma che paradossalmente rischia di essere il vero e proprio Big Bang della politica italiana. Avendo pompato molto l’evento infatti in molti si aspettavano un Renzi più spavaldo, più antisistema e desideroso di intraprendere la sfida della leadership del centrosinistra italiano. Ho sentito con le mie orecchie gente lamentarsi di aver passato “tre giorni e due notti qui a Firenze”. Ma proprio questo è il punto: Renzi sembra aver compreso il succo della questione, che per una volta è solo e squisitamente politico e non tende a concentrarsi troppo sui connotati della leadership. Il sindaco infatti ha compreso che oggi come oggi la linea della segreteria del Pd è opinabile, ma senz’altro chiara e cristallina: tende infatti a riprendere temi cari a quella sinistra diametralmente opposti alle politiche neo-liberiste e deregolamentarci. Quelle che hanno causato la crisi economica e finanziaria del 2008. Una linea politica molto “old style” che intende rispolverare le ricette del keynesismo, care alle socialdemocrazia classica a partire dall’esperienza laburista del secondo dopoguerra, per arrivare ad una regolamentazione del mercato per via politica che eviti una forma di anarchia del settore economico. Con tutto ciò che ne consegue anche sul sistema previdenziale e sul mercato del lavoro.
Un atto che semplificando al massimo (non è da me, ma faccio un’eccezione) potremo definire come una “svolta a sinistra”. Poi quanto sia stato valicato il confine della sinistra e quanto si sia giunti quasi al limite dei confini dell’estrema sinistra è compito delle valutazioni dei singoli.
Restava e resta dunque uno spazio più “moderato” capace, soprattutto in materia economica, di non esagerare in estremismi di stampo statalista e capace di ideare una forma di solidarietà sociale che però non faccia a meno, per esempio, di lottare per la riduzione del debito e del deficit (come ha sottolineato l’intervento di Chiamparino). Una sinistra più liberal, che ha uno spazio politico proprio. Questo spazio politico potevano sfruttarlo, dopo il meeting dell’Aquila in sostegno all’attuale linea del Pd, solo due eventi: quello di Bologna e quello di Firenze.
La convention di Civati e Serracchiani però ha ottenuto una forma di placet e l’ospitalità sotto l’ombrello protettivo del partito nazionale. Un atto formale molto positivo, ma che in realtà politicamente ha rosicchiato di molto le aspettative bolognesi e la possibilità di incidere in chiave riformista sull’agenda interna del Pd. Restava dunque Firenze che tra l’altro non ha ottenuto in casa democratica un’accoglienza positiva. Attacchi mirati da parte di quasi tutto il centrosinistra così forti da risultare un boomerang clamoroso (ma facilmente prevedibile) che ha reso la Leopolda come l’evento principale del fine settimana al posto della convention partenopea.
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[ad]Renzi nel suo intervento ha attaccato gran parte della linea politica del Pd, soprattutto in materia economica si è spinto quasi ad elaborare una forma mista di liberalismo e keynesismo (significativa la presenza di Zingales alla Leopolda) capace di occupare quello spazio politico e quella prateria così incautamente incustodita.
Sapendo che però oggi come oggi un’agenda economica come quella di Fassina può apparire maggioritaria nel paese, considerando le cause dell’attuale crisi in atto, non ha annunciato la discesa in campo in quanto la sua leadership e la sua piattaforma risulterebbero senz’altro minoritarie nel breve periodo. Ma si prepara per il dopo, sapendo che avrà meno vincoli amministrativi in comune, una leadership (già dopo la Leopolda è più conosciuto tra i cittadini…anche grazie alle critiche di quasi tutto il Pd!) di elevarlo al rango di punto di riferimento per una fascia di Pd e di elettori e soprattutto una contingenza sociale ed economica meno febbrile. Capace di non farsi ammaliare dalle sirene di un’agenda politica che, con la scusa della ricerca di un nuovo modello di sviluppo, anziché idearne dei nuovi utilizza i suggerimenti dei vecchi.
Per Keynes nel lungo periodo saremo tutti morti. Ma la politica è più futuro che presente. E’ saper guardare un pò più lontano degli altri. Ecco perché Renzi probabilmente ha vinto la sua sfida.