Fonti vicine a Palazzo Chigi rivelano che sarebbe allo studio del governo un programma di dismissioni di partecipazioni pubbliche, nell’ambito del piano di riduzione del debito, da avviare entro la fine dell’anno.
Fiore all’occhiello delle dismissioni dovrebbe essere l’Eni: secondo indiscrezioni rilanciate ieri dalle agenzie internazionali, Reuters e Bloomberg, l’idea sarebbe quella di collocare sul mercato una quota del 4,3% dell’ente nazionale idrocarburi. Proprio la quota di società detenuta direttamente dal ministero dell’Economia, mentre il restante 25,76% del capitale in mano pubblica fa capo alla Cassa Depositi e prestiti.
La quota di partecipazione in questione, se fosse dismessa, comporterebbe un’entrata nelle casse dello Stato di circa 2,8 miliardi: una boccata d’ossigeno che, ad esempio, potrebbe andare a integrare il taglio del cuneo fiscale.
Certo, si tratterebbe solo di un primo, piccolo passo, anche perché un rilevante piano di dismissioni non può non avere come obiettivo primario l’abbattimento del gigantesco debito pubblico, arrivato ormai al 134% del Pil.
Comunque il governo non ha confermato né smentito le anticipazioni trapelate ieri: siamo solo all’inizio del percorso, se ne saprà di più nelle prossime settimane.
Al momento è certa solamente la messa in vendita di Fincantieri (la cui valutazione oscilla tra 1,5 e 2,2 miliardi) e di una piccola quota di Terna. Escluse invece sia Enel che Finmeccanica.
La notizia della dismissione del 4% di Eni ha subito messo sull’attenti i sindacati: “Siamo preoccupati dalle indiscrezioni su una possibile cessione di una quota del 4% di Eni”, dichiara il segretario nazionale Ugl Chimici, Luigi Ulgiati. Che aggiunge: “Se confermata, l’intenzione del governo di rinunciare ad una quota praticamente pari a quella detenuta dal Tesoro significherebbe mettere sul mercato un gioiello del comparto energetico italiano, con tutti i rischi legati all’eventuale perdita di potere decisionale sugli importanti asset strategici posseduti dal gruppo. Occorre dunque grande cautela e un ragionamento attento – conclude Ulgiati – a partire dalle conseguenze sul futuro degli oltre 30.000 lavoratori italiani del gruppo”.
Il docente di Economia all’Università Tor Vergata, Marcello Messori, invita a riflettere sulla questione anche se non si dice contrario a priori alla cessione di quote dell’azienda: “Va ricordato che una società come Eni ha un effetto sul resto del sistema economico italiano dove il numero di grandi imprese profittevoli si sta riducendo sempre più”.
A chi lamenta una fuoriuscita dello stato dalla cabina di regia della nostra economia Messori ribatte di non essere “scandalizzato dalla cessione del controllo da parte dello Stato: il pubblico può ritagliarsi un ruolo di regolare e di programmatore della crescita senza detenere la proprietà, purchè ciò avvenga dentro un disegno generale di sviluppo del nostro sistema economico”.
Saccomanni “Sotto osservazione Rai ed Eni” – A confermare le voci di possibili dismissioni di quote azionarie di società pubbliche è lo stesso ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, ospite a Che Tempo che Fa. “Il piano di privatizzazioni arriverà entro fine anno e riguarderà sia proprietà immobiliari dello Stato, ma anche partecipazioni azionarie, che sono ancora numerose. La Rai è una delle società di cui lo Stato è azionista, stiamo guardando ogni possibile soluzione perché l’obiettivo finale “è dare una mano alla riduzione del debito pubblico”.