In questi giorni, il Presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, si trova presso la capitale russa per completare un programma d’incontri con le massime autorità governative della Russia e per firmare una serie di accordi di cooperazione fra i due Paesi. Correa incontrerà il proprio omologo russo, Vladimir Putin, discutendo principalmente dei diversi progetti del settore energetico, come la proposta di creare una stretta collaborazione fra la compagnia petrolifera russa Gazprom e quella ecuadoriana PetroAmazonas.
Il Paese sudamericano intende sviluppare le proprie riserve di gas naturale, piuttosto che continuare ad acquistare gas liquido dall’estero. Simili collaborazioni si sono già registrate in passato: già nel 2012 era stato raggiunto un accordo pari a 1,3 miliardi di dollari statunitensi.
Tuttavia, gli accordi in ambito petrolifero non sono il principale argomento della riunione fra i due capi di Stato: infatti, la visita del Presidente dell’Ecuador è anche una valida occasione per affrontare la vicenda della “Spy story”. Riferendosi agli Stati Uniti, Correa ha così dichiarato: “In un primo momento hanno detto che era necessario per la lotta contro il terrorismo, ma non credo che Angela Merkel sia una terrorista. Piuttosto, penso che sia chiaro che abbiano usato i programmi di sorveglianza per motivi economici, per aiutare le loro imprese transnazionali”.
I rapporti di amicizia fra Russia ed Ecuador hanno guadagnato un nuovo slancio quando, in occasione della richiesta d’asilo da parte di Edward Snowden, i due governi sono stati fra i pochi a essere disposti a concederlo. D’altronde, Correa ha costruito sulla propria reputazione a livello internazionale come uno dei principali leader antistatunitensi dell’America meridionale, sfidando il pericolo dell’isolazionismo diplomatico. Lo scorso luglio, quando al Presidente della Bolivia, Evo Morales, fu negato lo spazio aereo e costretto a rimanere per circa 12 ore a Vienna, Correa condannò pesantemente quanto accaduto e sollecitò gli altri capi di Stato sudamericani a reagire al “monopolio” statunitense delle relazioni diplomatiche.