Resto, ma senza partiti. Oppure, resto diversamente in politica. Si potrebbe chiosare così l’intervento di questa sera di Gianfranco Fini, che oggi era a Milano alla Fondazione Corriere della Sera per presentare il suo nuovo libro, Il ventennio. E’ una piccola rivelazione sul suo futuro, che fa notizia per ciò che colui che battezzò Alleanza nazionale farà e anche (se non di più) per ciò che non ha intenzione di fare.
Sembra parlare con nettezza Fini, escludendo un suo ruolo “da candidato” in un futuro prossimo (e forse anche lontano). In un partito esistente o anche in una formazione nuova di zecca: “Non ho intenzione di candidarmi alle europee né di allearmi con questo o quel partitino o di fondare un nuovo partito ma solo lanciare delle idee con la mia fondazione”. Che non è ovviamente la fondazione An, ne la vecchia Fare Futuro, un tempo vicina anche a lui, bensì il nuovo soggetto “Libera destra”.
L’ex presidente della Camera vuole sgombrare il campo da ogni sospetto o commento malevolo, che magari lo raffigura in cerca di poltrone o almeno di promesse in tal senso: “Voglio continuare a far politica nell’interesse generale e chi vuol darmi una mano lo può fare iscrivendosi alla mia fondazione”. E, nel caso qualcuno duro di comprendonio non avesse capito e non vedesse l’ora di spulciare le liste delle prossime elezioni europee o delle eventuali politiche anticipate, Fini precisa: “Fare politica non vuol dire fare il parlamentare“. Punto.
L’ex leader di Futuro e libertà interviene anche sull’ipotesi, più volte smentita, che Marina Berlusconi prenda il posto del padre come guida del Pdl-Fi e del centrodestra. Prima la liquida con una battuta (”Nell’ambito delle monarchie, Marina è una soluzione dinastica’”), poi va più a fondo: “Credo che all’interno di Forza Italia o del Pdl il problema sia verificare nelle prossime settimane che cosa Berlusconi chiederà al suo partito dopo l’eventuale decadenza. Quello sarà anche il momento in cui per Alfano sarà forse più difficile di quanto fino a oggi è stato chiamarsi ‘diversamente berlusconiano'”.
Se un errore Fini si riconosce, è il “non avere capito la ‘natura’ di Berlusconi”, ma non la nascita del Pdl: “Il predellino era le comiche finali, ma dalle comiche finali si è andati dritti a votare dopo poche settimane. Veltroni correva da solo, senza la sinistra radicale, ed era una novita’. Noi siamo bipolaristi convinti, ed era giusto far nascere il Pdl“. Una volta fondato il Pdl, però, il Cavaliere è tornato quello di sempre: “Ha detto, io sono il leader, io decido e le mie decisioni si eseguono”. Un quadro che porta a escludere una dialettica tra alleati: “E’ soltanto la logica del partito padronale”.
Gabriele Maestri