Quel rapporto flessibile tra Renzi e la sinistra toscana

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“Non cerchiamo il posto fisso. Vogliamo posti di lavoro flessibili per premiare il nostro merito”. Il sentimento dei “leopoldini” quest’anno era più coerente. Dopo aver accantonato Pippo Civati, Matteo Renzi ha coalizzato attorno alla metafora vincente della “rottamazione” un popolo che ha nel suo dna il concetto di flessibilità. Non solo nel lavoro. È flessibile negli orientamenti politici – il sindaco di Firenze d’altronde fa da calamita su quasi un elettore su due del centrodestra – quanto nella stessa idea di divisione fra destra e sinistra.

[ad]Questo Renzi lo sa e su questo già sta facendo i conti per sostenere la sua campagna per le primarie da candidato premier del centrosinistra. Un disegno che al momento è totalmente proiettato sul governo, affrontando il tema del Partito Democratico come un corpo da ridimensionare rispetto all’idea di forma solida di Pierluigi Bersani. L’ottica di lanciare un’Opa ostile alla segreteria nazionale e a cascata sulle segreterie regionali, però, è ignota a Renzi. “Candidarmi alla guida del Partito Democratico? Non ci penso nemmeno” risponde sferzante ai giornalisti il rottamatore. Eppure con il partito dovrà misurarsi. Vincesse le primarie come candidato premier dovrebbe gestire da subito e almeno fino alle elezioni un’improbabile coabitazione con l’altro candidato del Pd, quel Pierluigi Bersani che incidentalmente resterebbe segretario del partito.

Il laboratorio Toscana dal punto di vista del rottamatore è tutt’altro che incoraggiante. Fra gli uomini di governo il presidente della Regione Enrico Rossi è quasi un capofila dell’anti-renzismo. “Le sue idee ricordano il Tony Blair del ’99, è una sinistra conservatrice” ha dichiarato dalle colonne di “Repubblica”. Tanto da bidonare domenica scorsa il Big Bang via Facebook con un messaggio lapidario: “Oggi faccio una cosa importante, mi sposo”. A livello di partito le cose vanno ancora peggio. Il segretario metropolitano del Partito Democratico, Patrizio Mecacci dopo aver cercato qualche abboccamento con Renzi ai tempi di “Prossima fermata Italia” ha aperto il fronte interno delle ostilità: “Mi preoccupa l’ipotesi di una sua candidatura per il futuro della città. Nell’eventualità il partito dovrà ragionare”. Un messaggio neanche troppo traverso per far capire a Renzi che puntare a fare la scalata a palazzo Chigi potrebbe costargli il suo primato indiscusso su Firenze. Costruito peraltro più su un’egemonia sulla giunta comunale che sul controllo del partito o del movimento giovanile.

Mecacci ad esempio è classe 1984, viene da una stagione da segretario regionale dei Giovani Democratici. All’interno del movimento la volontà di rinnovamento si è fatta quasi incoercibile, ma viene vista con diffidenza la figura di Renzi. E neppure può valere il ripiego di Pippo Civati e Debora Serracchiani, visti dai “giddini” come troppo dialoganti verso l’establishment. L’identikit della loro rottamazione porta, piuttosto, a vedere con simpatia ad una figura di militante giovane – ma non di primo pelo – dialogante con Bersani, ma pronto a pensionare con delicatezza tutto il suo gruppo dirigente. Un ritratto che porterebbe al presidente della Provincia, Nicola Zingaretti.

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[ad]Anche se quest’ultimo non dovesse scendere nell’agone delle primarie è evidente però che la rottamazione di Renzi entrerà ben presto in collisione con la voglia di rinnovamento degli stessi democrat toscani. Essenzialmente per due motivi: la visione della società e la conseguente visione della forma di partito. Mentre i democrat, sia giovani sia stagionati, sono eredi di due grandi tradizioni di sinistra convinti del valore della militanza, dietro al sindaco di Firenze ci sono studenti, lavoratori e professionisti con una collocazione sfumata, che oscillano fra il centrosinistra e il centrodestra – senza mai andare toccare le ali estreme – con idee così di confine da essere inimmaginabile vederli assumere un vincolo così importante come prendere una tessera e fare vita di partito. Liquidarli con le battute da militante esperto, del tipo “non sopravvivrebbero neppure un minuto alla vita di sezione” sarebbe riduttivo, ma ci racconta una mezza verità. Renzi dunque è isolato in casa propria? Neanche per idea. Renzi gode del più vasto consenso di opinione nella sua Firenze e in buona parte della Toscana, ma l’impresa più dura sarà portarlo dentro ad un partito fatto di stanze, persone in carne e ossa, ma soprattutto di politique politicienne.