La primavera delle donne saudite
[ad]Il Corano riconosce alla donna una lunga serie di diritti che nelle società pre-islamiche erano del tutto assenti: grazie all’Islam, venne sancito il diritto della donna di godere dell’eredità paterna e di avere una propria indipendenza economica.
Il Corano tutelò ancora la donna opponendosi alla pratica dei matrimoni precoci e combinati: il consenso della sposa divenne necessario per il conseguimento del matrimonio ma in pratica, ancora oggi, queste normative vengono aggirate; la religione islamica inoltre tollerò la poligamia solo perché era un retaggio culturale troppo radicato nella società araba. Nell’epoca in cui nacque l’Islam, la condizione difficile delle donne sole o rimaste vedove, poteva essere risolta solo con il matrimonio poligamo, che dava la possibilità di accogliere un buon numero di donne in difficoltà.
Il velo, simbolo dell’inferiorità della donna, ha origini antichissime documentate sia nel Codice di Hammurabi che nella legge Assira e venne utilizzato per distinguere le donne rispettabili dalle schiave; lo stesso Maometto si oppose a questa soluzione, poiché prevedeva le conseguenze negative che l’uso del velo avrebbe comportato.
Simone De Beauvoir, nella sua monumentale opera intitolata “Il Secondo Sesso” e dedicata alla condizione femminile, auspicò la fine delle disuguaglianze tra uomo e donna tramite il passaggio da una “differenza” non più fondata sulla subordinazione della donna ad una differenza armonica fondata su una distinzione di ruoli funzionali alla vita della società. Uomini e donne considerati come un insieme di individui liberi e di pari dignità e diritti. Una differenza che basterebbe alle donne saudite per non sentirsi più delle estranee nella propria terra.
di Gaia Bottino