Se Tassone vuole risvegliare il Cdu

Pubblicato il 5 Novembre 2013 alle 11:30 Autore: Gabriele Maestri

A volte ritornano. Qui non si parla tanto dei politici (che, in realtà, ritornano quasi sempre), ma dei partiti. Operano per poco o molto tempo, poi confluiscono in nuovi soggetti e nessuno ne sa più nulla. Sembrano morti, invece sono solo messi “in ghiaccio”, pronti per essere scongelati se serve. Il caso più noto è quello di Forza Italia, ora forse si parla di Alleanza nazionale, ma l’11 maggio a Roma hanno iniziato a svegliarsi dal letargo anche i Cristiani democratici uniti, su impulso di uno dei loro dirigenti, Mario Tassone. E il Cdu vuole riprendere il cammino.

Il partito che fu creato da Rocco Buttiglione dopo la crisi all’interno del Partito popolare italiano nel 1995 avrà dunque una nuova vita? Ce lo facciamo spiegare direttamente da Tassone: a sentire lui, la sua battaglia è di ideali, che ora nell’Udc rischiano di perdersi (anche se ciò gli è costato, a quanto si apprende in rete, una richiesta di espulsione dal partito, che lui ha subito contestato). Una battaglia che però potrebbe portare con sé lo scudo crociato, anche se “il simbolo è importante, ma non indispensabile”.

Tassone, ormai ha deciso di rispolverare il Cdu: come le è venuto in mente?

Mi è venuto in mente subito dopo che l’Udc ha scelto praticamente di “diluirsi” in Scelta civica, facendo di Monti il riferimento principale del nuovo centro. Pensavo che, cosi facendo, si sarebbe dispersa un’esperienza rappresentata dall’Udc, che si era costituita nel 2002 anche grazie all’apporto del Cdu, che aveva conferito tra l’altro il simbolo.

A studiare i partiti italiani si impara una cosa: scioglierne uno è quasi impossibile, perché ci sono sempre debiti da pagare, crediti da riscuotere, cause ancora in piedi…

Beh, noi nel 2002 dicemmo chiaramente che, anche con la costituzione dell’Udc, il Cdu sarebbe rimasto come associazione. Ora stiamo facendo vivere proprio quella, attraverso un confronto politico e culturale.

Dunque il Cdu non si è mai sciolto, nemmeno successivamente, a differenza del Ccd che si è sciolto nel 2010.

Esatto, non si è mai sciolto, ha solo sospeso le sue attività. Ora stiamo appunto riprendendo l’attività culturale, politica, di elaborazione, che nasce dall’esigenza di far vivere alcuni riferimenti ideali e culturali che a mio avviso con questo tipo di convergenza con Scelta civica rischiano davvero di perdersi.

Ma in questi undici anni il Cdu è rimasto del tutto in sonno? Non ha fatto nulla o ha dovuto compiere atti?

Beh, c’è stata un’attività più che altro informale, tra amici che provenivano dal Cdu, ma niente di ufficiale.

gianfranco-rotondi

Dunque, quando il Cdu ha sospeso la sua attività, chi era rimasto a rappresentarlo?

Io ero il presidente del consiglio nazionale e da quella posizione sto facendo rivivere il partito convocando appunto quell’organo. C’era Gianfranco Rotondi che era il segretario amministrativo e Buttiglione come segretario politico. Loro però non sono assolutamente parte di questa operazione: ecco perché andremo a rinnovare tranquillamente gli incarichi.

Gli altri che erano ancora nel Cdu come hanno preso la sua scelta?

Beh, quelli che hanno ancora intenzione di fare politica e sono interessati a una scelta ideale, l’hanno presa bene.

Lei fa ancora parte dell’Udc?

Sì, visto che il Cdu è una componente fondatrice del partito.

Ma non è che qualcuno, sapendo del suo desiderio di riattivare il Cdu, ha pensato di porla fuori dal partito?

Ognuno è libero di fare le valutazioni che crede e anche di iniziare le procedure di espulsione, ma il simbolo dello scudo crociato all’Udc lo ha conferito a suo tempo il Cdu, anche se sul simbolo ci sono varie contese giudiziarie…

Eh, come no…

Guardi, questa è una cosa infinita, un po’ stucchevole, l’ho vissuta dal 1995 in poi…

Cdu 2000

Ma non sarebbe il caso di lasciare riposare finalmente in pace lo scudo, invece che strattonarlo a destra o a sinistra?

Beh, qualcuno lo propose nel 1995, quando si dovette decidere come risolvere la spaccatura nei Popolari. Già allora qualcuno lanciò l’idea di consegnare il simbolo a un archivio oppure all’istituto Sturzo. E se le cose dovessero continuare a essere tormentate, questa proposta potrebbe avere qualche riscontro. Non lo escludo.

Lei quindi non sarebbe contrario?

In realtà sì. Ma se questo dev’essere un momento paralizzante, allora se ne può parlare. Tra l’altro, il Cdu non vuole essere “l’inizio e la fine”, non vogliamo che il Cdu sia il punto di arrivo, ma un motore di aggregazione del mondo sparso della Democrazia cristiana. Doveva farlo l’Udc e non c’è riuscita fino in fondo, credo che il motore ora debba essere il Cdu. E se in tutto questo processo lo scudo crociato dovesse essere un blocco, al punto che potrebbero aprirsi nuove lotte defatiganti sulla titolarità, o si decide che non lo usa nessuno, oppure si conclude che il soggetto più titolato a usarlo, anche su un piano elettorale, è il Cdu. Non c’è dubbio.

Auguri, non sarà semplice.

Eh, ma io non ho bisogno di auguri, caro mio: come le ho detto, se lo scudo dovesse bloccare l’attività e l’impegno, lo scudo se ne va. Non sono semplicemente disponibile a impegnarmi in controversie giudiziarie, punto e basta. Nessuno mi può contestare il Cdu, come “logo”: la mia battaglia la farò, ma le grandi dispute giudiziarie non le faccio più. Il simbolo è importante, ma non è indispensabile.

Tra le storie stucchevoli di cui parlava prima ci sono anche i tentativi di riattivare la Dc?

Ognuno ha nel cuore la Dc, ma riproporla sic et simpliciter come qualcuno vorrebbe credo non tenga conto dell’evoluzione dei tempi. C’è un fatto nuovo secondo me, la nuova posizione della gerarchia della Chiesa: dal 1994-1995 c’era la convinzione che fosse necessario avere ancora un partito di cattolici, adesso l’idea di un partito di cattolici che elabori proposte e si confronti con le varie anime credo vada attualizzata.

E come?

I democristiani oggi sono dappertutto, nei vari partiti, ma occorre dare un senso e una coscienza alla politica, altrimenti abbiamo semplicemente una sommatoria di etichette e sigle buone solo per le aggregazioni elettorali. In questo possono aiutare le riforme, non ultima quella elettorale, ci vorrebbe la reintroduzione delle preferenze, che per me era il sale della ricostruzione dei partiti: oggi tutti i grandi poli parlano di riforma elettorale, ma nessuno vuole davvero le preferenze, siamo alla privatizzazione dei partiti.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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