AGCOM: si fa presto a dire “antipirateria”

Pubblicato il 7 Novembre 2013 alle 18:49 Autore: Guido Scorza

Nelle prossime settimane – salvo colpi di scena provenienti da Bruxelles o dal Parlamento italiano – l’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni varerà l’ormai famigerato regolamento sul diritto d’autore online.

E’ la vittoria dell’industria dei contenuti che, da anni, chiede, a gran voce, misure e strumenti di enforcement più efficaci per combattere la pirateria online.

Sul punto è bene essere estremamente chiari per evitare ogni equivoco in un dibattito nel quale le posizioni sono già esasperate: c’è una “brutta” legge dello Stato – il c.d. Decreto Romani – che impone ad AGCOM di intervenire in materia di tutela del diritto d’autore online, limitatamente alla fornitura di servizi media audiovisivi.

Guai, quindi, a dire che AGCOM stia “legiferando” solo su “commessa” dell’industria dei contenuti ma, ad un tempo, è innegabile che l’Autorità abbia deliberatamente scelto di occuparsi a tutto tondo della tutela del diritto d’autore online , spingendosi ben al di là di quanto la legge, oggi, le chiede e le consente di fare.

E’ in questo che risiede la vera vittoria dell’industria dei contenuti, una vittoria, in buona parte, ottenuta rappresentando all’Authority un contesto nel quale la pirateria starebbe producendo un’autentica mattanza degli incassi, minacciando la sopravvivenza stessa del mercato in tutto il mondo ed in Italia più che altrove.

A questo disperato grido di aiuto, l’Authority ha risposto garantendo il proprio impegno a dotare l’industria dei contenuti di un pacchetto di strumenti di antipirateria di straordinaria efficacia.

Senza voler con ciò semplificare eccessivamente una questione straordinariamente complessa, vale però la pena ricordare – solo perché l’Authority abbia presente tutti gli elementi di fatto utili a consentirle di assumere decisioni consapevoli – che mentre mancano, contrariamente a quanto riferito dall’industria dei contenuti, studi e ricerche di mercato che misurino in modo efficace il c.d. “danno da pirateria”, nelle ultime settimane stanno emergendo alcuni aspetti che giustificano qualche dubbio sul fatto che le cose stiano davvero come l’industria dei contenuti si affanna a cercare di dimostrare.

E’ bene premettere – per evitare ogni accusa di voler creare confusione con la scusa di fare chiarezza – che non si tratta di elementi univoci in senso contrario ma dati ed informazioni che, forse, giustificano una qualche riflessione ulteriore rispetto a quelle sin qui svolte.

Il primo dato emerge dal Report 2013 – benché basato sui dati del 2011 – della CISAC, l’associazione che raccoglie tutte le principali collecting society nel mondo.

Nel 2011, riferisce CISAC, nel mondo sono stati complessivamente raccolti 7,6 miliardi di euro in diritti d’autore, dato che segna un miglioramento – ancorché marginale – rispetto all’anno precedente.

4,5 miliardi di questi 7,6 miliardi di euro – ovvero il 60% – sono stati raccolti proprio nel nostro caro vecchio continente.

E a chi lamenta il fatto che Internet sarebbe una “terra” di ladri e pirati o un farwest nel quale – senza nuove leggi da corte marziale e un esercito di sceriffi – sarebbe difficile garantire il rispetto dei diritti d’autore, lo stesso report risponde con un dato significativo: nel 2011, nel mondo, la raccolta di diritti d’autore online è cresciuta del 55%.

Ma non basta.

Il report 2013 della CISAC, smentisce anche l’esistenza di un “caso italia” in relazione al fenomeno della pirateria o, per lo meno, della propensione a non pagare il conto quando si tratta di utilizzare contenuti protetti da diritto d’autore.

L’Italia, infatti, è undicesima nella classifica dei Paesi nei quali si raccolgono – su base procapite – più diritti d’autore: 8.7€ per cittadino contro una media mondiale di 1,1 €.

Guai a sostenere sulla base di questi numeri che le cose per l’industria dei contenuti vadano male e, soprattutto, che potrebbero andare meglio ma da qui a dirsi convinti che la situazione richieda interventi straordinari ed urgenti che giustificano addirittura una compressione di altri diritti e libertà fondamentali il passo sembra davvero lungo.

C’è poi, un altro dato, che rimbalza da una ricerca svolta sul “mercato” nero statunitense.

Se si prende a riferimento l’ultima settimana, si scopre, che 4 dei 10 film più piratati non erano distribuiti online legalmente e che dei rimanenti 6, 3 erano disponibili solo per l’acquisto e non per il noleggio.

Nessuno dei dieci film in questione, infine, era fruibile attraverso i più diffusi servizi di streaming quale, ad esempio, Netfix.

Ampliando l’orizzonte alle ultime 5 settimane, la ricerca rivela che solo il 44% dei film più piratati era disponibile online in una qualche forma e solo il 18% era disponibile per il noleggio o lo streaming.

Nessuno dei film più piratati – anche nelle ultime cinque settimane – era disponibile in streaming attraverso servizi legali e a pagamento come Netfix.

Anche in questo caso senza voler esasperare il valore dei dati che emergono dalla ricerca sembra, tuttavia, indubitabile una relazione di proporzionalità diretta tra l’esistenza di modelli legali di distribuzione dei contenuti digitali e il calo della pirateria audiovisiva.

Un’osservazione dalla quale dovrebbe discendere una necessaria conseguenza: se l’Authority vuole davvero impegnarsi per risolvere il problema del diritto d’autore online allora dovrebbe “abusare” della propria autorità non solo per ampliare l’ambito di applicazione delle misure di enforcement che sta varando ma anche per imporre all’industria dei contenuti di fare molto di più per la diffusione di modelli di distribuzione legale delle opere online.

Il “tavolo” previsto dal Regolamento, sotto questo profilo, rassomiglia di più alla precostituzione di un alibi contro le critiche più severe che ad una misura realmente capace di promuovere l’offerta di contenuti legali online.

Intendiamoci la verità è che toccherebbe al Parlamento ed al Governo sia occuparsi delle nuove regole della promozione del marcato legale che di quelle relative all’enforcement.

Ma se proprio l’Authority vuole essere “pirata” [n.d.r. nel limitato significato di agire ai confini del perimetro delimitato dal legislatore ed in taluni passaggi al di là dello stesso] almeno lo faccia in maniera equa.