Il Movimento 5 Stelle si trova di fronte alle difficoltà della politica romana, quella che Beppe Grillo vorrebbe “aprire come una scatoletta di tonno”. In molti avrebbero scommesso sulla contaminazione degli eletti pentastellati alle logiche di Palazzo, forse non così velocemente. Forse i moniti e le espulsioni non sono poi così adatti a educare gli eletti e a convincere gli elettori.
L’ultimo passo falso all’interno del gruppo 5 Stelle a Palazzo Madama – in evidente difficoltà di gestione, dopo la recente dipartita forzata dei dissidenti Gambaro, De Pin, Mastrangeli e Anitori – è stato fatto dalle due senatrici Barbara Lezzi e Vilma Moronese, accusate di aver assunto rispettivamente la figlia del fidanzato e il compagno. Gli episodi di “parentopoli” sono stati denunciati dalla collega Laura Bignami.
Ieri, l’assemblea dei grillini riunitasi in un’aula del Senato ha esaminato il caso delle due esponenti, colpevoli di aver violato il regolamento interno, che recita: “M’impegno a utilizzare sempre un criterio meritocratico nella selezione di qualsiasi posizione o incarico di competenza”.
La discussione è stata così concitata che Claudio Messora – responsabile comunicazione del M5S – ha sconsigliato, in una mail interna, la diretta streaming. Dunque niente operazione trasparenza, ma lo strappo alla regola è stato votato a maggioranza dal gruppo pentastellato. Il Corriere parla di tre ore di duro dibattito e conferma di aver visto uscire la senatrice Moronese in lacrime.
Le due accusate, però, non sembrano essere preoccupate: “Abbiamo rispettato le regole perché i partner in questione non sono conviventi”, hanno spiegato. E Lezzi ha chiarito: “Ho assunto una ragazza, che ho conosciuto ai meet-up insieme col padre, con il quale adesso ho anche una relazione. Non convivo con lui”.
In realtà, i parlamentari coinvolti nella parentopoli interna sarebbero più di due. Secondo indiscrezioni, tra le centinaia di curricula ricevuti dai 5 Stelle, la scelta di alcuni parlamentari è ricaduta sugli “intimi”. Qualcuno ha approfittato per denunciare spese per 1800 euro in abbigliamento.
Ma da Roma a Bologna il Movimento rischia di perdere la sua rotta originaria: in 19 mesi, i due consiglieri eletti del M5S Emilia-Romagna – considerando anche l’espulso Giovanni Favia – hanno speso 9 mila euro a testa in pranzi e cene rimborsate dalla Regione, più del Pd a livello pro-capite. L’esponente grillino Andrea Defranceschi ha attaccato: “Diciottomila euro per due consiglieri, considerando 21 giorni lavorativi al mese, fanno 21/22 euro a testa. Tutte spese riportate sul sito del Movimento”.
Per il momento nessuna espulsione né coinvolgimento degli iscritti e dei meet-up: la democrazia diretta (streming) del M5S è sospesa.