Costituzione e Repubblica sostanziale
Costituzione e Repubblica sostanziale
Un’analisi lucida e obiettiva del panorama politico italiano conduce a due osservazioni generali: i principi fondamentali della Carta Costituzionale sono stati progressivamente dimenticati; partiti e sindacati hanno perso quel piglio, che li caratterizzava, di tutela delle esigenze dei cittadini. Questi due soli elementi, contestualizzati in un panorama politico europeo reso critico e depresso da un sistema economico votato alla globalizzazione, hanno inciso profondamente nel funzionamento del paese provocando immobilismo e mancato ricambio generazionale nell’assetto della classe dirigente.
Le lobby, da organizzazioni esterne al sistema statuale, sono mutate sempre più in anelli connessi allo Stato, per cui terreno privato e terreno pubblico, a differenza del passato, sono apparsi sempre meno netti e separati. La conseguenza più evidente è rappresentata da una irresponsabilità personale che si traveste in irresponsabilità collettiva e che, dunque, non risolve mai i temi della colpa e del danno.
La Magistratura tenta per alcuni versi di sanzionare, ma riscontra enormi difficoltà sia per l’avvenuta cancellazione di alcune fattispecie giuridiche di reato, sia per l’impossibilità di inserire alcune condotte in chiare fattispecie di reato a causa di un limite istrionico tra lecito ed illecito.
L’Italia, per questioni storiche – si pensi alle cento città disegnate da Cattaneo – non può essere mossa da due soli poli di rappresentanza politica: questo, come si è visto, ha condotto a un’inflessibilità nella gestione governativa, privandola di ogni tipo di confronto costruttivo.
Se nell’economia si è assistiti a un graduale mélange tra pubblico e privato, ciò si è rivelato anche nell’equilibrio dei tre poteri dello Stato, la cui virtuosa separazione permetteva una regolamentazione chiara delle istituzioni e delle istanze provenienti dai cittadini, oggi compromessi dall’indifferenza a quei principi del diritto quali congruità, equità, imparzialità.
Una legge elettorale incostituzionale ha rappresentato poi lo strumento per legalizzare tali caratterizzazioni dando vita a rappresentanti politici non solo decisi nella “stanza dei bottoni di partito”, ma estranei alle esigenze territoriali in cui venivano candidati.
Quest’ultima prassi potrebbe essere considerata l’aspetto più ridondante dello “svuotamento della politica” e dello scollamento di essa dalle istanze collettive. Si è giunti così a due gestioni della cosa pubblico-privata: da un lato lo Stato incarnato da governo e parlamento centrali, dall’altro nomenclature di tipo decentrato (Regione, Provincia e Comuni) che non solo hanno legiferato in contrasto con quanto dettato a livello centrale, ma spesso hanno anche confuso i ruoli nell’esercizio delle loro funzioni.
Sempre più chiaro appare oggi l’imprimatur del governo italiano, nel tentativo di riappropriarsi di quelle funzioni di indirizzo e controllo politico che per troppi anni aveva lasciato a un laissez -faire indiscriminato. Ricostituire una frammentarietà di tipo politico e amministrativo-contabile appare un compito molto arduo, se non si comincia a leggere la situazione esistente in una prospettiva diversa e allargata ipotizzando una riforma radicale del sistema.
Ciò non equivale a ripensare le istituzioni, ma significa ripartire da esse con nuove persone, con giovani preparati e mossi da contenuto etico, ascoltando le mutevoli condizioni sociali che evidenziano la necessità urgente di cambiamenti strutturali non più risolvibili con le solite leggi penali. Le attuali questioni di omofobia o femminicidio sono esempi lampanti.
Le norme penali dovrebbero rappresentare gli strumenti in ultima battuta per normare in uno stato di diritto; è necessaria invece la risoluzione delle problematiche mediante azioni positive, con strumenti che permettano integrazione e riconoscimento di diritti a quei soggetti – donne, omosessuali, anziani, senza dimenticare l’infanzia e l’adolescenza – deprivati di opportunità in termini di coesione sociale e relazionale.
La Carta Costituzionale, che già garantisce il divieto di discriminazioni, deve divenire fattiva nello spazio sociale, nel partito così come nei luoghi di lavoro, nell’aula di tribunale sino alla famiglia. Questo è il primo grande passo dello Stato: realizzare quella parte della Costituzione abbandonata al formalismo, uscendo da mortificanti interventi ad personam o ad personas. Senza questa evoluzione verso la sostanzialità, né leggi né compromessi tra le varie compagini di partito riusciranno a invertire la tendenza verso il risanamento della cultura, dei conti pubblici, dell’istruzione, della disoccupazione italiani.
Evelina Cataldo