A colpi di dossier e inchieste giornalistiche, il caso Datagate si allarga e arriva fino al nord Europa. Nel giro di pochi giorni, gli articoli del quotidiano britannico The Guardian hanno toccato prima la Svezia, poi la Norvegia e la Danimarca. La Finlandia invece si interroga sulla propria capacità di fronteggiare lo spionaggio informatico.
Venerdì scorso il Guardian ha scritto che i servizi segreti di Francia, Spagna, Germania e Svezia avrebbero messo a punto un sistema di sorveglianza di massa in collaborazione con il GCHQ (Government Communications HeadQuarters), il corrispettivo britannico della NSA statunitense.
Da Stoccolma, il ministro degli Esteri Carl Bildt ha confermato che c’è collaborazione con la Gran Bretagna ma ha precisato che l’intelligence del suo paese ha sempre operato nel rispetto della legge svedese e in linea con gli interessi della nazione. E ha aggiunto: “Se la polizia controlla il traffico lungo una strada per individuare criminali che è legittimata a cercare, che c’è di sbagliato?”
Fatto sta che l’opposizione è andata all’attacco, la stampa ha sottolineato i rischi di una sorveglianza di massa e la polizia di Stoccolma s’è sentita in dovere di precisare che le telecamere istallate per gestire gli ingorghi stradali non sono utilizzate per azioni di sorveglianza o prevenzione del crimine.
Neanche quarant’otto ore dopo è toccato a Oslo e Copenhagen. Protagonista sempre il Guardian, secondo il quale Norvegia e Danimarca giocherebbero un ruolo importante nella raccolta e nell’analisi dei dati da parte dalla NSA.
Il Guardian ha raccontato di un ‘mondo dello spionaggio’ diviso in livelli. Al primo posto Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda, che insieme agli Usa comporrebbero il gruppo dei “5 occhi”. Norvegia e Danimarca sarebbero molto in alto, nel gruppo dei “9 occhi”. Svezia, Germania e Italia farebbero parte di un livello di cooperazione successivo, il gruppo dei “14 occhi”.
Una vicenda delicata, per i governi norvegesi e danesi. A Oslo, la premIer Erna Solberg (fresca d’incarico) solo pochi giorni fa dichiarava di non credere che “tra alleati e amici ci si debba spiare a vicenda”.
Da Copenhagen la premier laburista Thorning-Schmidt e il ministro della Giustizia Morten Bødskov hanno detto di non essere a conoscenza di nessuna azione di spionaggio illegale o che vada contro gli interessi danesi. Ma non si sono spinti oltre.
L’Alleanza Rosso-Verde, che appoggia da fuori l’esecutivo, vuole però vederci chiaro: “abbiamo bisogno di sapere dal governo che cosa sta succedendo con gli americani, per capire meglio se e come le conversazioni telefoniche e le email dei danesi siano state spiate”, ha sottolineato Nikolaj Villumsen.
Non solo. Alcuni ‘addetti ai lavori’ mostrano di essere assai poco stupiti dalle informazioni che stanno via via emergendo. Hans Jørgen Bonnichsen, che nell’intelligence danese ci ha lavorato a lungo, ha dichiarato al quotidiano Berlingske Tidende che “siamo molti legati alla Cia sin dal secondo dopoguerra, questo ha contribuito a costruire un rapporto di fiducia e rispetto che è essenziale nel mondo dell’intelligence”.
In Finlandia, invece, il datagate entra nel dibattito attraverso un’altra porta, quella della sicurezza in senso stretto. La rete del ministero degli interni è stato oggetto di intrusione per mesi: a confermarlo lo stesso titolare del dicastero, Erkki Tuomioja. “Una cosa seria” ha ammesso, precisando che i segreti di stato sono comunque rimasti fuori dalla portata degli ‘intrusi’. La Finlandia non è stata la sola ad essere oggetto di cyber-attacchi simili, ha aggiunto Tuomioja: anche altri paesi dell’Unione europea hanno avuto gli stessi problemi.
Magra consolazione. Internet sembra sempre più una specie di zona franca, con maglie larghe e senza regole condivise. A tal proposito, Tuomioja suggerisce che la Finlandia dovrebbe farsi promotrice di un dibattito internazionale che arrivi alla definizione di un limite per la protezione della privacy, un confine oltre il quale l’attività di spionaggio non dovrebbe spingersi.
Una rotta un po’ diversa la immagina Carl Haglund, che a Helsinki è ministro della Difesa. Haglund ha dichiarato che polizia e intelligence devono poter contare su una maggiore capacità d’azione in rete. L’obiettivo non è invadere la privacy delle persone ma contrastare efficacemente le intrusioni. Il governo lavora già da un po’ a una nuova normativa.
Una cosa sembra però mettere tutti d’accordo in Finlandia: sul fronte della sicurezza informatica, Helsinki è indietro. La pensano così molti analisti: la Finlandia si è concentrata più su regole e burocrazia, invece di investire in tecnologie e ricerca. Un ritardo che il caso datagate sta mettendo a nudo.