Dopo le tante indiscrezioni, compresa l’ultima dichiarazione di Berlusconi che ha suscitato molte polemiche è da oggi nelle librerie l’ultimo lavoro di Bruno Vespa ‘Sale, zucchero e caffè. L’Italia che ho vissuto da nonna Aida alla Terza Repubblica’ edito da Mondadori Rai Eri.
Di seguito il racconto di ciò che è avvenuto in casa Pdl nei giorni che hanno preceduto la fiducia alle Camere del Governo Letta.
“Tra il 25 e il 28 settembre ci fu un confronto durissimo tra i «falchi» e le «colombe» del Pdl, ribattezzati poi «lealisti» e «innovatori». Dicevano i primi (Denis Verdini, Daniela Santanchè, Sandro Bondi, Daniele Capezzone) parlando alla «pancia» del Cavaliere: apriamo la crisi, andiamo alle elezioni, le vinciamo e risolviamo tutti i problemi. Napolitano, insisteva Verdini, dovrà sciogliere le Camere perché non riuscirà a fare un altro governo. Rispondevano i secondi (Gianni Letta, Angelino Alfano, Fabrizio Cicchitto, i ministri) parlando al «cervello» di Berlusconi: se ci fosse una sola possibilità di andare alle elezioni, staremmo con te, caro presidente. Non siamo sicuri di vincere, ma l’emotività paga, e riusciremmo comunque a ottenere un risultato migliore di quello di febbraio. Ma non esiste nessuna possibilità che Napolitano sciolga le Camere. Fin da quando ha accettato la conferma, ha detto che lo faceva solo per consentire di cambiare la legge elettorale e di realizzare finalmente le riforme istituzionali. (…)
Rimanderà il governo alle Camere, Enrico Letta prenderà i voti di qualche grillino dissidente e andrà avanti. Oppure Napolitano accetterà le dimissioni dell’esecutivo, nominerà un nuovo presidente incaricato e si arriverà comunque all’impossibilità di votare entro l’anno. (…).
«Alfano è stato per molti anni mio assistente personale» ricorda Berlusconi «e sono stato io a proporlo alla direzione nazionale per la carica di segretario. Lui e gli altri ministri mi hanno confermato di aver presentato le dimissioni per un atto di solidarietà nei miei confronti, ma hanno ribadito di aver sempre sostenuto lealmente la necessità che il governo Letta continuasse a lavorare. Erano e sono convinti che la crisi non avrebbe portato alle elezioni, ma casomai a un governo peggiore dell’attuale». (…).
La mattina di mercoledì 2 ottobre, giorno della fiducia, 23 senatori del Pdl dissero che l’avrebbero votata, anche in dissenso dal partito. Berlusconi incontrò altri 57 senatori: 23 dissero che sarebbero usciti dall’aula al momento del voto e 34 che avrebbero votato la sfiducia. (…).
Il capogruppo dei senatori, Renato Schifani, informò all’ultimo momento il Cavaliere che non se la sentiva di fare la dichiarazione di voto sulla sfiducia. «Togliere la fiducia al governo sarebbe stata la decisione giusta» mi spiega Berlusconi «ma dopo aver parlato con un ministro e constatato che insistevano nel votare la fiducia, per non spaccare in due il partito, contro il parere dei 57 che avevo consultato mi sono alzato in Senato e ho detto che avremmo votato la fiducia».
Quando lo fece erano le 13.27. Enrico Letta si voltò verso Alfano e disse: «È un grande». Incassata la fiducia, i due si diedero il «cinque», e quell’immagine si scolpì nella memoria di Berlusconi come il segno tangibile della sconfitta, che non ha mai dimenticato e che portò alla contromossa del 25 ottobre, con l’azzeramento delle cariche, la cancellazione del Pdl (…).
Comunque vadano le cose, alla fine di questa lunga battaglia, il rapporto personale tra il Cavaliere e Angelino ha subìto una frattura irreversibile. Lui ne parla con stima e con affetto, ma se abbassa la voce e ti guarda dritto negli occhi, gli scappa la frase terribile e definitiva: «Angelino ha tradito».
E al vecchio cronista torna in mente l’8 febbraio 2008, quando il leader del centrodestra lasciò a piedi Casini per le imminenti elezioni anticipate, perché non aveva dimenticato lo sgarro del 2005 quando l’Udc lo costrinse alle forche caudine del Berlusconi bis.”