L’incontro tra le grandi potenze e la Repubblica islamica dell’Iran, che avrebbero dovuto trovare un accordo sul programma nucleare di Teheran, si è concluso con un nulla di fatto.
Gli Alti funzionari dei 5+1 (Stati Uniti, Cina, Russia, Regno Unito, Francia e Germania) e Catherine Ashton, responsabile degli “affari esteri e sicurezza” dell’UE, incontreranno nuovamente lo staff del Ministro degli Esteri iraniano Zarif, il 20 Novembre.
Il principale ostacolo ai colloqui odierni è stata l’opposizione della Francia, rappresentata dal Ministro degli Esteri di Parigi Laurent Fabius.
Quest’ultimo ha spiazzato molti diplomatici per la sua rigidità inaspettata: da parte sua si è detto “scettico” sull’eventualità di diminuire le sanzioni economiche a Teheran in cambio di concessioni sul programma nucleare.
“Un passo avanti – così Fabius ha definito l’accordo – ma sono ancora molte le questioni da trattare”: la realizzazione del reattore al plutonio di Arak, che gli Iraniani stanno costruendo nel Sud Est del Paese, per i francesi dovrebbe essere interrotta durante le trattative.
Inoltre il rappresentante francese ha mostrato insoddisfazione anche sul versante delle tonnellate di uranio arricchito al 20%, quello che permetterebbe la costruzione di testate nucleari, già realizzate dall’Iran: secondo la prima bozza dell’accordo non sarebbero state toccate.
La Francia riprende le parole provenienti da Gerusalemme quando, per bocca del suo rappresentante, definisce l’accordo, così come è stato presentato in queste ore, “un regalo” a Teheran.
Infatti Fabius ha sottolineato che “bisogna tenere conto delle preoccupazioni d’Israele”: Nethanyahu invita, sin dalle prime aperture di Rohani, a non fidarsi dell’Iran.
Proprio Rohani ha annunciato che l’arricchimento dell’uranio per l’Iran rappresenta una “linea rossa alla quale non possiamo rinunciare”.
Parole forti dettate dall’esigenza di placare i problemi sul fronte interno, l’insofferenza dei “custodi della rivoluzione” verso il dialogo con gli USA e i tentativi di accordo sul nucleare, ma che non mettono a rischio gli incontri di Ginevra.
In palio ci sono 50 miliardi di dollari che verrebbero scongelati dalle banche straniere e riversate nelle casse della repubblica islamica, una volta cessate le sanzioni internazionali.