In Turchia è tête-à-tête tra il Governo e la Corte Costituzionale
Tirano venti di crisi politica in Turchia. Oseremo anche dire che si sfiorano i segnali di un colpo di stato, d’altronde, questa eventualità sta echeggiando molto nella stampa locale in questi giorni.
Storicamente la Turchia è stata teatro di molti golpe e tentativi tali. A partire dal periodo di tramonto dell’Impero ottomano, con il colpo di Enver Pascia del 1913 che consolidò il controllo dei Giovani Turchi, fino a quello fallito di luglio 2016 che si concluse con il fallimento e l’arresto dei golpisti militari.
Cosa sta accadendo
Al netto delle implicazioni, dei fattori storici e delle analisi che si possono trarre, la situazione di crisi presente in Turchia e che sta destando preoccupazioni in questo periodo, è data principalmente dalla frizione in atto tra “l’apparato” presidenziale con a capo Recep Erdoğan e la massima corte giudiziaria del Paese: la Corte Costituzionale.
Il confronto è cominciato tra il Ministro degli Interni turco Soylu e il Presidente della Corte, quando il primo ha criticato la decisione della suprema magistratura di aver annullato una legge sulla “libertà di circolazione nelle strade”. Si tratta di una norma che vieta di tenere manifestazioni e proteste nelle strade interurbane, appellandosi alla tutela del diritto di poter camminare liberamente per le strade cittadine. Libertà che, secondo la legge in questione, verrebbe minata in caso di occupazione di massa da parte di manifestanti. Al che, l’AYM (Corte Costituzionale turca), nella persona del suo Presidente Zühtü Arslan, ha risposto al Ministro definendo le sue critiche come infondate e formulate sulla base di assunzioni personali, in quanto non erano ancora state rese note le motivazioni della decisione presa dalla Corte.
Ad acuire la situazione interviene il 30 Settembre scorso il leader dei nazionalisti del MHP, alleato di Erdogan, Devlet Bahçeli. Il politico di estrema destra, riporta il sito di notizie T24, chiede espressamente la riforma completa della Corte Costituzionale, ritenendola non più adatta al sistema presidenziale instauratosi a seguito del referendum del 2017. Inoltre, a detta di Bahçeli, l’attuale corte è “il prodotto di un colpo di stato militare e necessita di democratizzazione”.
A fare eco alle richieste di cambiamento radicale all’AYM, è lo stesso Presidente turco, dichiarandosi lieto di accogliere con favore iniziative in tal senso da parte del Parlamento.
L’autorità dell’AYM scricchiola
Un secondo versante di questa profonda crisi vede un braccio di ferro interno al sistema giudiziario. La controversia nasce intorno al caso di Enis Berberoğlu, giornalista ed ex deputato del Partito Popolare Repubblicano (opposizione socialdemocratica), al centro di un’impasse giudiziaria da più di 4 anni. Nel merito, la Corte Costituzionale ha concluso che debba riottenere la sua immunità parlamentare e che, sulla base dell’articolo 83 della Costituzione, i procedimenti a suo carico sarebbero dovuti essere sospesi dal momento della sua elezione a legislatore nel 2018.
L’attuazione della decisione dell’AYM è stata tuttavia rigettata da un tribunale penale di Istanbul, adducendo inammissibilità del dispositivo in quanto entrante nel merito del caso.
Un’altra sfida diretta al vertice dei gradi giudiziari della Turchia arriva da un tribunale minore della capitale Ankara. Questa volta riguarda l’ambito amministrativo: il tribunale in questione ha sentenziato la non possibilità di praticare l’avvocatura a un ex legale in quanto precedentemente licenziato dal servizio pubblico, a dispetto di un parere in segno opposto della Corte Costituzionale.
La figura Enis Berberoğlu
Enis Berberoğlu, membro del CHP, il più antico partito politico turco e principale rappresentanza laica. È un fervido oppositore alle politiche governative e alle ideologie di cui il partito di maggioranza si fa portatore (l’AKP di Erdoğan). Nel 2014 passa un video al quotidiano Cumhuriyet con il quale pretende di dimostrare il coinvolgimento del MIT (servizi segreti turchi) in un’operazione di trasferimento d’armi ai ribelli siriani. Il governo sostenne che si tratti di un convoglio di mezzi trasportanti aiuti umanitari.
Nel maggio del 2016 Berberoğlu venne privato dell’immunità parlamentare e l’anno successivo viene condannato di 25 anni di reclusione per “spionaggio e divulgazione di informazione riservate”. Tuttavia, dopo un primo parere del Tribunale regionale d’appello che esclude l’elemento spionistico e rivaluta la pena in 5 anni e 10 mesi, considerata anche la sua elezione a parlamentare alla tornata del giugno 2018, la Corte suprema d’appello conferma la riduzione della condanna, sospende la sua esecuzione e ne ordina il rilascio, avvenuto il 20 settembre dello stesso anno.
La sua odissea giudiziaria riprende il 4 giugno scorso quando gli è stata nuovamente revocata l’immunità parlamentare e conseguentemente arrestato.
Perché si parla di “golpe”?
Certo che parlare già di un rovesciamento o di una sovversione è un azzardo, tuttavia rispecchia il clima assai teso che si sta creando in Turchia. Un clima seppur inusuale per il rango delle cariche e delle istituzioni coinvolte ma che, sotto un’ottica più ampia, appare chiaro che lo scontro in atto si inserisce nel quadro generale di contrapposizione, che da decenni imperversa il paese anatolico, tra l’ideologia kemalista e quella dell’islam politico.
A delineare le pericolose connotazioni di cui si è accennato sopra contribuiscono riferimenti poco celati, di importanti membri delle più alte istituzioni turche, alla preparazione in corso di un ipotetico colpo di stato ordito dalla Corte Costituzionale. Ci pensa per primo Engin Yıldırım, il Vice-presidente della suprema magistratura stessa, che pubblica sul suo profilo Twitter una foto dell’edificio della Corte accompagnata dalla frase “le luci accese”. Tale gesto è stato duramente attaccato da molti attivisti filo governativi, accusando Yıldırım di minacciare la sovversione.
In Turchia, infatti, quell’espressione è collegata all’idea di “colpo di stato”, un modo di dire che riprende quanto avvenuto con l’edificio dello Stato Maggiore durante alcuni golpe del passato. La reazione della Corte è stata di una parziale presa di distanze tramite un comunicato ufficiale, affermando che “i post negli account personali di qualsiasi suo membro non rispecchiano la sua visione istituzionale” e che “ripudia qualsiasi azione non democratica contro l’ordine costituzionale”.
Non sufficiente per alcuni come la politica di centro-destra Meral Akşener che chiede le dimissioni di Yıldırım. Quest’ultimo, dal canto suo, ha replicato in un successivo tweet dicendo di essere stato frainteso, affermando che l’intento è quello di rappresentare la Corte come “luce della legge”.
La risposta più celere, tra l’altro sulla stessa lunghezza d’onda, in codice, è arrivata dopo qualche minuto dall’account ufficiale del Ministero degli Interni che, assieme a due foto del dicastero illuminato, recita “la nostra luce è sempre accesa”.
Giunge invece all’indomani la replica del Presidente Erdogan che, parlando ai giornalisti, ha affermato: “È stata una triste condivisione. Vorrei che non l’avesse fatto. Se vuole entrare in politica, che lo faccia. Non può essere considerato come una condivisione individuale. Se il Presidente e i membri della Corte Costituzionale non sono d’accordo con lui, dovrebbero fare quanto necessario”.
Alla domanda se stesse prendendo in considerazione la ristrutturazione della suprema magistratura, ha risposto con una malcelata risposta affermativa: “Dio volendo”.