Fuoriclasse in tribuna, brocchi in campo
Romano Prodi, dopo le elezioni del 2008, lasciò la carica di Presidente del Partito Democratico e, mentre teneva corsi universitari negli USA e in Cina, iniziò un percorso da diplomatico dell’ONU per cui è presidente dell’African Union-United Nations Panel on peacekeeping e Special Envoy for Sahel.
Pur avendo continuato a miliare nel PD, Prodi è tornato sul proscenio solo a metà febbraio rilasciando un’intervista al Sole 24 Ore che anticipava la sua presenza al comizio milanese di Bersani. Il Professore era del resto il candidato naturale per il Quirinale, a cui sarebbe facilmente arrivato se il Pd avesse vinto le elezioni che non vinse. La confusione ha permesso a cento “grandi elettori” democratici di bruciare l’ex premier che, a tesseramento quasi chiuso, ufficializza l’addio al “suo” partito, annunciando di non partecipare alle primarie per la scelta del prossimo segretario.
Se Prodi fosse “come tutti gli altri”, avvierebbe la formazione di un nuovo “movimento politico” che finirebbe per partecipare alle elezioni europee del maggio prossimo e che potrebbe anche portare qualche eletto a Strasburgo. Ci sono stati illustri sindaci che, pur essendo pronti ad imbarcarsi per l’Africa, si sono infine fermati negli studi televisivi a raccontare, con serietà, le proprie ovvietà. Ci sono stati grandi senatori-economisti che, promettendo di tenersi fuori dalla campagna elettorale, mettevano in piedi un listone coi democristiani e gli ex-fascisti che avevano appena finito di votare le più vergognose leggi di Berlusconi.
E c’è proprio lui, Berlusconi, l’imprenditore pregiudicato che, a settantasette anni suonati, non ha ancora capito che un buon cittadino “non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private” (dal discorso di Pericle del 461 a.C. in Tucidide, La guerra del Peloponneso II, 37) e tiene in ostaggio il governo nell’attesa che il Senato lo dichiari formalmente decaduto.
Prodi invece è diverso. Ha lasciato Roma per Bruxelles nel 1999, ed è rientrato nel 2005 solo perché D’Alema, Fassino, Veltroni, Rutelli, Fioroni, Marini, Bertinotti, Mastella, Pecoraro Scanio e Diliberto avevano bisogno di lui per vincere. Ma a nessuno interessava davvero quello che Prodi aveva da offrire. E così, mentre metà del Paese ha scelto i clown che divertono (e allarmano) l’Europa, la sinistra italiana, passando per i romanzi di Veltroni e le metafore di Bersani, sta per approdare al niente di Renzi.
I dirigenti e i militanti democratici ignorano le due personalità che rappresentano il meglio del melting pot ideologico su cui si è costruito il Pd: il cattolico-democratico Romano Prodi e il social-democratico Fabrizio Barca. Sono i migliori, i più preparati, i più innovativi. Essi, però, non gridano più forte di Gasparri e Santanchè nei talk show, non sembrano di volere compromettersi (ancora) con le correnti del PD e, soprattutto, sanno come cambiare il Paese avendo, peraltro, tutte le capacità e le energie per farlo.
Così, se i fuoriclasse scelgono la tribuna, tutto il campo è per i brocchi che si contendono le quote del partito (non il partito) con una surreale competizione tra i “nuovi” Cuperlo e Renzi, dietro cui si nasconde proprio ciò che del PD andrebbe cambiato.