La BCE taglia i tassi e va verso l’ignoto, mentre la crescita rallenta
Con una mossa che ha sorpreso (quasi) tutti, la Banca centrale europea ha deciso di tagliare i tassi di interesse di un quarto di punto, portandoli al minimo storico dello 0,25 per cento.
La decisione di Mario Draghi e soci era tutto sommato attesa, anche se a partire dal mese di dicembre: l’Unione monetaria sta sperimentando una disinflazione in accelerazione, che rischia di trasformarsi in deflazione, facendo seguito al caso della Grecia, dove la deflazione risulta essere già una concreta realtà dallo scorso marzo, e su base annua il calo dei prezzi, a causa della ridotta capacità di spesa delle famiglie, è arrivato al 2 per cento.
Un periodo di prolungata deflazione, ovvero un prolungato calo dei prezzi, ha pesanti effetti negativi sull’economia, ma in questa congiuntura economica in particolare rende più pesante il fardello del debito pubblico proprio nel momento in cui diversi stati europei, tra cui l’Italia, stanno cercando di liberarsene, rischiando così di avvitare una crisi che già da sola è piuttosto complicata da risolvere.
L’obiettivo della Bce, e più in generale dell’economia industrializzate, è contenere l’inflazione poco sotto il 2 per cento e tenerla quanto più è possibile stabile in modo tale che gli attori economici possano effettuare le proprie decisioni di consumo ed investimento in maggiore tranquillità.
L’ultimo intervento della Bce per tentare di evitare la deriva deflazionistica sembra comunque essere l’ultima arma convenzionale a disposizione di Francoforte: se non dovesse manifestarsi alcun segnale di inflazione (e attualmente non c’è nulla che ce lo faccia credere), anche l’Eurotower dovrà seguire altre banche centrali che hanno intrapreso la strada delle misure straordinarie ormai da tempo, come un approfondimento della politica di forward guidance, una forma di quantitative easing o anche tassi negativi sui depositi delle banche. Germania permettendo, ovviamente.
Intanto l’euro si indebolisce, come è normale che sia, permettendo alla Banca centrale europea di raggiungere due obiettivi, ovvero un tasso di cambio più favorevole per le esportazioni in modo da sostenere la ripresa economica, ma soprattutto importazioni più costose in grado di sostenere la crescita dei prezzi.
Va comunque ricordato che la politica monetaria da sola non è mai risolutiva, e che occorrono riforme strutturali a livello europeo per uscire dalla depressione in cui ci troviamo.
L’agenda macroeconomica prevede per martedì il rilascio di diversi indici dei prezzi al consumo, in particolare europei, che dovrebbero confermare la lontananza del tasso di inflazione dagli obiettivi, anche in Germania, nonostante i giornali tedeschi minaccino il ritorno di una inflazione weimariana. L’Italia metterà all’asta BOT a 3 e 12 mesi.
Mercoledì conosceremo la produzione industriale in Europa, mentre l’Italia venderà BTP a 3 anni. Giovedì sarà giornata di stime preliminari del prodotto interno lordo di varie nazioni europee: l’Italia dovrebbe registrare il nono trimestre di decrescita consecutivo, mentre negli altri Paesi (e nell’EZ in generale, Germania compresa) la crescita dovrebbe registrare un rallentamento. Negli USA le nuove richieste di sussidi di disoccupazione non dovrebbero destare sorprese, attestandosi sulle 330mila unità.
Venerdì verrà resa nota l’inflazione nell’Eurozona, che dovrebbe essere confermata allo 0,7 per cento.