Ennesimo flop internazionale ieri nella Conferenza di Varsavia per discutere del cambiamento climatico: nessuna politica adottata e scambio di accuse tra i paesi poveri e i paesi ricchi. Sebbene il disastro del Tifone Haiyan è in parte dovuto alla fragilità delle infrastrutture dell’arcipelago, ritenere che sia la sola causa è continuare a non ‘voler vedere’.
Neppure un disastro come come quello che si è abbattuto nelle Filippine è riuscito a mettere d’accordo la comunità internazionale ieri, 12 novembre, nella Conferenza di Varsavia riguardo alle politiche che devono essere intraprese per evitare il ripetersi di simili eventi naturali. Com’è noto, infatti, la catastrofe del tifone Haiyan, che si è abbattuto sulle Filippine provocando un numero imprecisato di vittime, c’è chi parla di oltre 10mila morti, è stata al centro della conferenza di ieri a cui hanno partecipato più 190 paesi, e nonostante l’ordine del giorno fosse quello di arrivare ad un accordo comune circa le politiche da adottare contro i cambiamenti del clima, nessuna decisione amaramente è stata presa; anzi, si può ben dire, che la conferenza di Varsavia è stata solo l’occasione per uno scambio di accuse tra paesi ricchi e paesi poveri su chi abbia la vera ‘responsabilità’ del costante mutare del clima. “Varsavia, più di quanto sia successo in passato, è una tappa sul cammino verso risultati a lungo termine, non credo che nessuno si aspetti alcuna svolta“, ha ammesso Nathaniel Keohane, vice presidente dell’Enviromental Defence Fund. “Il nostro obiettivo è quello di raggiungere un nuovo accordo che sia ambizioso, effettivo e durevole“.Accordo tuttavia al momento saltato,si può dire, al contrario, forse un po’ più lontano. Due erano i punti essenziali della Conferenza di ieri: ridurre le emissioni del carbonio per rallentare il processo di riscaldamento del clima, e sopratutto, data lo stato d’emergenza in cui si trovano le Filippine, programmare un piano di aiuti economici da destinare ai paesi più poveri per evitare il ripetersi di simili calamità. Si consideri, infatti, che per un paese come le Filippine, particolarmente esposto per posizione geografica, caratteristiche dei territori e per la difficile realtà economica in cui versa, ogni tifone che si abbatte sull’arcipelago spazza via con sé, oltre case, tetti, automobili e tutto il resto, l’equivalente del 2% del PIL, una vera ‘frustata’ per un paese che già non vanta un economia di ‘prima classe’. Ma si sa: se si parla di soldi, di denaro, tutto diventa di secondo ordine, anche il clima, anche a Varsavia. Infatti più che trovare un accordo, la Conferenza è stata l’occasione per uno scambio di accuse tra paesi ricchi e paesi poveri: le nazioni in via di sviluppo infatti sostengono che devono essere sopratutto i grandi paesi industrializzati, USA, Cina, Europa, Giappone a dover contribuire maggiormente, essendo i paesi su cui grava la maggiore responsabilità delle emissioni di carbonio, mentre, dal canto loro, i grandi paesi sostengono che la catastrofe del Tifone Haiyan è solo in parte causa del riscaldamento del clima, ma è sopratutto una tragedia che si deve far derivare dalla realtà fatiscente delle infrastrutture e delle abitazioni di questi paesi, che in quanto tale non proteggono efficacemente la popolazione. La tesi, dunque, sostenuta dai grandi paesi industrializzati, USA in testa, è che la tragedia del Tifone Haiyan, solo in parte è causa diretta del riscaldamento climatico e molto, invece, si deve attribuire alla scarsezza delle infrastrutture e delle abitazioni di questi paesi. E’ probabile che, come per tutte le cose, la verità sia nel mezzo: Il tifone Haiyan è sì un disastro provocato ed alimentato dai riscaldamento climatico, ma è anche vero che l’onda di 20 metri che si è scagliata nell’entroterra filippino è passata sopra a casa fatte di legno.Una cosa tuttavia è chiara: sono sopratutto i paesi più poveri a dover affrontare le maggiori difficoltà, tanto strutturali, quanto politico-programmatiche, difronte ai cambiamenti che il riscaldamento climatico sta provocando. Sebbene le Filippine debbano responsabilmente guardare con senso critico al motivo per cui molti dei suoi abitanti sono periti e abbia il dovere di chiedersi cosa fare per prevenire il ripetersi di questi disastri, considerando inoltre la frequenza delle tempeste che colpiscono l’arcipelago ogni anno, non può comunque passare ‘inosservato’ alla comunità internazionale che il livello del mare si è alzato di circa un centimetro, realtà che come tale aumenta esponenzialmente il rischio di mareggiate e sopratutto di un accrescimento della sua potenza, che dal 1981 in poi si è registrato costantemente un aumento della frequenza di fenomeni naturali disastrosi sopratutto nell’area del Nord-Pacifico, che i ghiacci intorno all’Artico si stanno sciogliendo ad un ritmo tale da impedirne di riformarsi, e che i disastri idrogeologici sono presenti ormai in ogni dove per l’eccessiva cementificazione dei territori. Attribuire la responsabilità del disastro, in termini di vite umane e di famiglie messe al lastrico, alla sola fatiscenza delle case filippine mi sembra francamente un ‘voler non vedere’. D’altronde il flop di ieri è solo l’ultimo in ordine di tempo, e questo la dice lunga sull’effettivo volere delle istituzioni e dei governi internazionali di dare uno decisa sterzata alle politiche ambientali sin qui adottate; come non ricordare, infatti, il clamoroso flop della Conferenza di Copenaghen del 2009 quando non fu raggiunto nessun compromesso tra i ‘grandi’ della Terra per ridurre i gas serra, USA e Cina su tutti? Solo poco tempo fa, a settembre, è stato consegnato nelle mani di Ban Ki-moon, segretario generale dell‘ONU, Il quinto rapporto dell’Ipcc-Intergoverntal Panel for Climate Change, voluto dalle stesso in vista della Conferenza di Parigi che si terrà nel 2015, il quale così riporta ufficilamente: il 95% delle cause del riscaldamento climatico è da attribuire all’azione dell’uomo sull’ambiente, se entro il 2100 non si dovesse registrare un cambio di rotta il livello del mare crescerà in media di 81 cm, con buona pace per molte città che vi si affacciano, la temperatura delle acque crescerà in media di circa 4,8 C°, un’eventualità che, se confermata, avrà ricadute su tutti i fenomeni naturali quali sono venti, stagioni, precipitazioni, tifoni, uragani, tornado. Uno scenario ‘apocalittico’ rappresentato, evitabile solo dalla buona volontà delle nazioni e delle politiche adottate. Certo se le premesse sono quelle di ieri…