Papa Francesco al Quirinale: “Impegnamoci per il lavoro, l’accoglienza e la famiglia”

papa francesco al quirinale

Reciproci riconoscimenti e attenzioni, inviti all’impegno per la pace e per le categorie più disagiate (ma anche per la famiglia), un nuovo passo avanti sulla via di una collaborazione laica tra Chiesa e Stato italiano. Sono questi, in sostanza, i principali ingredienti dalla visita di papa Francesco al Quirinale che ha caratterizzato la giornata politica di oggi. Un avvenimento non certo nuovo, ma che è stato vissuto con grande misura e sobrietà, in pieno stile Bergoglio, mettendo al centro temi di sicura rilevanza per la politica italiana.

LA CERIMONIA

Il papa aveva lasciato il Vaticano un quarto d’ora prima delle 11, a bordo di una Ford Focus, alla volta del Quirinale, per il suo terzo incontro con Napolitano: il primo era avvenuto il 19 marzo, nel primo giorno di pontificato, mentre l’8 giugno era stato il presidente a recarsi in visita in Vaticano.

Il pontefice è arrivato alla residenza del capo dello Stato alle 10 e 55, dopo aver percorso le strade del centro di Roma, senza sirene e scorte particolari (mancavano perfino i corazzieri, sempre in segno di sobrietà). Papa Francesco è stato accolto da Napolitano nel cortile d’onore, per la sua prima visita “ufficiale” in territorio italiano (agli “sconfinamenti” ci ha abituato da tempo): lì si è assistito a una cordiale stretta di mano, prima degli onori resi dal picchetto militare e del rito degli inni nazionali. Napolitano e Bergoglio parlano sotto i portici, mentre anche Letta e alcuni ministri si intrattengono con la delegazione vaticana.

Verso le 11 e 10 inizia il colloquio privato tra i due capi di stato nello studio alla vetrata e contemporaneamente si incontrano le delegazioni dei due paesi. Il dialogo tra il papa e il presidente dura oltre mezz’ora, seguito dallo scambio dei doni. Dopo il saluto ai presidenti delle Camere e della Corte costituzionale (e un nuovo dialogo con Letta), il papa si ferma a pregare nella Cappella dell’Annunziata, voluta al Quirinale da Paolo V, accompagnato da Napolitano e dalla moglie Clio. Poi, verso, mezzogiorno, tutti si trasferiscono nel salone delle feste ed è il momento dei discorsi.

IL CAPO DELLO STATO

Tocca chiaramente a Napolitano fare gli onori di casa: “È un privilegio, ed è motivo di sincero orgoglio, darle io benvenuto in questo palazzo”. L’inizio è solenne, anche se il capo dello Stato precisa subito che non deve appannarsi “l’espressione dei genuini sentimenti di vicinanza e affetto che la sua figura, il suo modo di rivolgersi a tutti noi, il suo impegno personale, hanno suscitato fin dai primi momenti del suo pontificato”.

I ruoli delle due figure sono ben distinti: è lo stesso Napolitano a ricordare che “la distinzione di ambiti e collaborazione” tra Chiesa e comunità politica restano alla base dei loro rapporti. E’ la stessa strada partita (a suo modo) dai Patti lateranensi e proseguita con la revisione del Concordato e che ha reso possibile “riconoscersi nel rispetto della laicità e sovranità dello Stato, e insieme della libertà e sovranità della Chiesa. Ne è stata rafforzata in modo decisivo quell’unità nazionale che è per l’Italia condizione di ogni sicurezza e progresso”.

C’è spazio per un complimento sincero, pronunciato da laico, alla “teologia” di papa Francesco (“Ci ha colpito l’assenza di ogni dogmatismo, la presa di distanze da posizioni ‘non sfiorate da un margine di incertezza‘, il richiamo a quel ‘lasciare spazio al dubbio’ proprio delle grandi guide del popolo di Dio”): lo stesso spirito che è teso al “dialogo con tutti, anche i più lontani e gli avversari” (farebbe bene anche alla politica?) e che dovrebbe, secondo Napolitano, ispirare una “larga mobilitazione delle coscienze e delle energie, innanzitutto morali”.

Priorità è vincere la sfida più importante di tutte: “quella di ristabilire e preservare la pace”. Ma anche “mali estremi”, come la disperante condizione dei giovani senza lavoro e “schiacciati sul presente” e la solitudine in cui vengono lasciati i vecchi. E sembra di rileggere l’intervista rilasciata dal pontefice a Eugenio Scalfari.

E’ in questo senso che Napolitano riconosce come Chiesa e Stato abbiano “come non mai responsabilità comuni” nell’affrontare le conseguenze della crisi economica e morale dell’Occidente. La Chiesa lo fa “esprimendo e diffondendo i suoi valori, liberandosi da ogni residuo temporalismo e dispiegando l’iniziativa delle istituzioni che ad essa si richiamano sul terreno solidaristico ed educativo che è loro proprio” e altrettanto fanno “nel campo, ben distinto, in cui sono chiamate ad operare” le istituzioni politiche, “laiche e indipendenti”.

In questo senso, la politica è chiamata a fare sforzi, in primo luogo per “liberarsi dalla piaga della corruzione e dai più meschini particolarismi”, per potere recuperare (come è necessario) partecipazione, consenso e rispetto: “Può riuscirvi – sottolinea Napolitano – solo rinnovando, insieme con la sua articolazione pluralistica, le proprie basi ideali, sociali e culturali”, magari traendo “uno stimolo nuovo” proprio dal messaggio e dalle parole di papa Francesco, anche per depurarsi da “esasperazioni di parte in un clima avvelenato e destabilizzante”.

IL PAPA

Tocca poi a papa Francesco intervenire. Dopo i ringraziamenti di rito e la constatazione che la visita di oggi “conferma l’eccellente stato delle reciproche relazioni, e prima ancora intende esprimere un segno di amicizia”, il pontefice ricorda la visita del suo predecessore Benedetto XVI, ma recupera subito il suo tono colloquiale: “Rendendole visita in questo luogo così carico di simboli e di storia vorrei idealmente bussare alla porta di ogni abitante di questo Paese, dove si trovano le radici della mia famiglia terrena, e offrire a tutti la parola risanatrice e sempre nuova del Vangelo”.

Anche Francesco parla di crisi (che “fatica a essere superata”) e della mancanza di lavoro come “effetto tra i più dolorosi”, invitando a “moltiplicare gli sforzi per alleviarne le conseguenze e per cogliere e irrobustire ogni segno di ripresa”. C’è anche il ricordo della toccante (e non solo per lui) visita a Lampedusa: “lì ha incontrato la sofferenza di chi emigra disperato e “l’encomiabile testimonianza di solidarietà di tanti che si prodigano nell’opera di accoglienza”.

Non rinuncia però il papa a toccare uno dei temi “classici” del cattolicesimo e spesso fonte di diatribe politiche: la famiglia. “La Chiesa continua a promuovere l’impegno di tutti, singoli ed istituzioni, per il sostegno alla famiglia, il luogo primario in cui si forma e cresce l’essere umano, in cui si apprendono i valori e gli esempi che li rendono credibili“. Anche per questo,  la famiglia ha bisogno della stabilità e della riconoscibilità dei legami reciproci, per dispiegare pienamente il suo insostituibile compito e realizzare la sua missione”.

Uno degli ultimi pensieri è un monito al paese intero: L’Italia “attingendo dal suo ricco patrimonio di valori civili e spirituali, sappia nuovamente trovare la creatività e la concordia necessarie al suo armonioso sviluppo, a promuovere il bene comune e la dignità di ogni persona, e ad offrire nel consesso internazionale il suo contributo per la pace e la giustizia”. “Iddio protegga l’Italia e tutti i suoi abitanti” e l’applauso, pieno di affetto al di là del rito, scroscia.

Finiti gli interventi, papa Bergoglio incontra i dipendenti del Quirinale (“Vi auguro di avere sempre uno spirito di accoglienza e di comprensione verso tutti, con una attenzione solidale specialmente verso i più deboli” raccomanda loro), è grato per l’incontro coi bambini (“Sono importanti”) e chiede che preghino per loro. Poi, dopo gli onori nel cortile e gli inni, c’è spazio per l’ultimo scambio di saluti tra i due capi di Stato: il papa lascia il Quirinale, chiudendo una visita di grande significato per la politica italiana e per le relazioni dei due Stati.

Gabriele Maestri