Beppe Grillo ha dichiarato: “Nel 2015 – visto che voi non ne parlate – c’è il Fiscal Compact. Hanno già firmato per 20 anni che dobbiamo tagliare la spesa di 50 miliardi all’anno per 20 anni”. Pagella Politica ha effettuato il factchecking della dichiarazione e si è espressa con un “Nì”.
Beppe Grillo scalda i motori per le elezioni europee (che ha già annunciato di voler vincere) attaccando un trattato spesso citato ma forse poco compreso dai più.
Partiamo quindi dall’inizio: il cosiddetto “Fiscal Compact” è un tassello importante – insieme al “Six Pack” ed al “Two Pack” – della nuova governance fiscale che l’Unione europea (ed in particolare l’Eurozona) si è data negli scorsi anni. In realtà non è un trattato a sé stante bensì una sezione del “Trattato sulla Stabilità, sul Coordinamento e sulla Governance nell’Unione Economica e Monetaria“, sottoscritto nel marzo del 2012 da 25 Paesi membri (tutti tranne il Regno Unito, la Repubblica Ceca e la Croazia che non era ancora parte dell’Unione). All’articolo 4 ci imbattiamo nel tema a cui fa riferimento Beppe Grillo nella dichiarazione in analisi: “Quando il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo di una parte contraente supera il valore di riferimento del 60% […] tale parte contraente opera una riduzione a un ritmo medio di un ventesimo all’anno come parametro di riferimento”. Il concetto non appare chiarissimo nell’articolo del trattato, ma è spiegato bene in questo articolo dell’Osservatorio Economico dell’Università di Sciences Po (Parigi) in cui si legge che la riduzione è pari a un ventesimo della differenza tra il debito pubblico attuale e il valore corrispondente al 60% del Pil.
Torniamo alla dichiarazione: perché Grillo dice “nel 2015” se il trattato è già stato firmato? Come spiega questo articolo dell’European Council on Foreign Relations, la regola dell’1/20 (o del 5% che si voglia dire) diventa vincolante solo quattro anni dopo che un Paese è uscito dalla “sorveglianza speciale” dell’Ue all’interno della procedura di disavanzo eccessivo, ossia quando ha portato il proprio deficit sotto il livello del 3% del Pil. Secondo David Barnes dell’Ocse, gli anni che devono passare in realtà sono tre; in ogni caso, visto che l’Italia è uscita solo a giugno di quest’anno dalla procedura di disavanzo eccessivo (e chissà che non ci ricaschi), non dovrà rispettare la regola del 5% prima del 2016-17. Prima piccola imprecisione per il leader del M5S.
Passiamo ora ai numeri più “tosti”. E’ vero che dovremmo ridurre la spesa di 50 miliardi all’anno per 20 anni? Non esattamente. Per provare a verificare quanto detto da Grillo, abbiamo usato le stime del Fondo Monetario Internazionale per proiettare al 2030 l’andamento del Pil nostrano a prezzi correnti e, allo stesso tempo, tagliare 50 miliardi all’anno dal valore stimato del debito pubblico nel 2015. I nostri conti sono aperti a tutti* ed è importante segnalare che Grillo commette due errori di partenza: in primis 1/20 della differenza tra il valore del debito pubblico nel 2015 e il valore di riferimento (ovvero il 60% del Pil 2015) sarebbe pari a circa 58,5 miliardi, non 50. In secundis tale riduzione avverrebbe solo nel primo anno: poichè è un valore relativo al debito pubblico, se quest’ultimo cala ogni anno, calerà anche il relativo 5%. In realtà la riduzione media del debito sarebbe pari a circa 31 miliardi l’anno.
Di seguito riassumiamo i risultati. Rimuovendo ogni anno dal 2015 il 5% richiesto dal debito pubblico, e presumendo una crescita annua per il periodo uguale alla media del periodo 2015-2018, arriveremmo sotto la soglia “magica” del 60% nel 2029, ossia in 14 anni. Sulla natura quasi fantascientifica del grafico qui sotto e sulla rettitudine fiscale che sarebbe richiesta ai nostri successivi governi, non ci esprimiamo. Possiamo però già sostenere che Grillo esagera di ben 6 anni la durata del periodo necessario per rispettare le regole del Fiscal Compact.
Concludiamo con un’ultima annotazione al commento di Grillo: il Fiscal Compact richiede una riduzione del debito non tanto della spesa pubblica; la spesa pubblica potrebbe rimanere invariata o addirittura aumentare se le tasse (e le conseguenti entrate) dovessero aumentare.
Grillo confonde i tagli alla spesa con quelli al debito, gonfiando entrambi i numeri che cita. La sentenza finale è difficile da attribuire, a cavallo tra il “Pinocchio andante” e il “Nì”. Alla fine, dopo aver fatto le giuste considerazioni, decidiamo per quest’ultima poiché il Fiscal Compact effettivamente determinerà – se verrà rispettato – un lungo periodo di dure decisioni di politica fiscale e Grillo indica correttamente il senso (seppur non le misure) del fenomeno.
Per maggiori informazioni sul Fiscal Compact suggeriamo questo articolo della Bce e questa completa rassegna di articoli curata dal think tank Bruegel.
*Pagella Politica si impegna a pubblicare sempre i calcoli che sono alla base delle sentenze che emette per ricevere commenti, integrazioni o critiche. Gli attenti sguardi dei nostri lettori rafforzeranno il nostro lavoro in un processo di factchecking dei factchecker!