L’Einaudi 80 anni dopo, tra ostacoli e conquiste

Pubblicato il 17 Novembre 2013 alle 14:09 Autore: Cecilia Lazzareschi

Spiritus durissima coquit”, lo spirito digerisce le cose più dure. È il motto che si legge in calce ad ogni stampa della Giulio Einaudi Editore, è il motto che venne scelto dalla casa editrice al tempo della sua fondazione, il 15 novembre 1933.

All’epoca l’aria era pesante e le cose da digerire erano veramente durissime: una censura fascista, inutile dirlo, a dir poco terroristica, che portò prima all’arresto poi al confino dello stesso Giulio Einaudi già nel ’35. Ma per l’editore torinese questo non fu mai un ostacolo. La sua officina letteraria portò avanti con sfacciatamente il suo impegno politico, continuò a rappresentare un’oasi per i maggiori artisti antifascisti del tempo, tre nomi su tutti: Cesare Pavese, Elio Vittorini, Italo Calvino.

Tutti e tre diedero un contributo fondamentale all’Einaudi: il primo con la sua direzione della rivista “La Cultura”; Vittorini accolse opere di giovani scrittori come Fenoglio e lo stesso Calvino, che da lì a poco entrò in prima linea nella casa editrice, collaborandovi dall’immediato dopoguerra fino al 1961.

Lo spirito che questi artisti condividevano, anche con il non ancora citato Leone Ginzburg, era proprio quello capace di digerire qualsiasi cosa, perché per loro, prima di tutto scrittori, uomini, antifascisti, e solo dopo editori, il boccone più duro da digerire sarebbe stato lasciare senza voce alcuni dei talenti più incredibili di tutta la nostra letteratura, che proprio in quegli anni difficili erano nel pieno della loro produzione artistica.

Ovviamente con la caduta del regime si aprì un periodo di largo respiro, che vide la pubblicazione, tra le altre cose, delle Lettere dal carcere di Antonio Gramsci. Ma la crisi iniziava a farsi sentire, per poi esplodere negli anni Settanta e Ottanta, che videro la creazione del progetto Einaudi-Gallimard, una collaborazione con la casa editrice francese Gallimard per proporre sul mercato italiano le edizioni della Bibliothèque de la Pléiade.

Fino ad arrivare al 1994, quando la casa editrice fu venduta al gruppo Mondadori, a cui appartiene tuttora. Ed è forse da quel momento che l’amarezza fatica a non farsi sentire: tanto per citare un caso, L’Einaudi di Berlusconi, che era la storica casa editrice del premio Nobel per la letteratura José Saramago, si è rifiutata di pubblicare un Quaderno in cui lo scrittore sudamericano parlava del Cavaliere.

Allora balza alla mente la parola che più dovrebbe essere estranea a un editore, e in generale a qualsiasi ambito culturale: opportunismo.

Il boccone più amaro da digerire, che lo spiritus di Giulio Einaudi e della sua cerchia di intellettuali era riuscito a confinare, seppur in un contesto storico assai meno liberale, e che adesso invece tende sempre di più ad essere di casa dove non dovrebbe per niente infiltrarsi.

In ogni caso oggi facciamo gli auguri più sentiti ad una delle case editrici protagoniste del Novecento, che ha assorbito appieno il secolo scorso, con i suoi assoluti capolavori ma anche con le sue contraddizioni.

Cecilia Lazzareschi