Il colpo di coda del Caimano

La votazione dell’8 novembre sul rendiconto finanziario dello Stato rischia di essere un terremoto in grado di scrivere la parola fine sulla II Repubblica e sulla figura politica di Silvio Berlusconi, l’uomo che ha dominato la scena italiana per ormai quasi un ventennio.

[ad]Con soli 308 voti a favore in una Camera dei Deputati completamente piena, la maggioranza parlamentare a sostegno del Governo si è trovata ben al di sotto della maggioranza assoluta necessaria per controllare l’Aula, evidenziando quindi un’impotenza politica – per usare le parole del segretario del PD Pierluigi Bersani – che ha condannato e sta condannado il Paese a un immobilismo legislativo di fatto.

Lo stesso Presidente del Consiglio pare aver tratto dal voto la conclusione del naufragio della sua maggioranza, e in un appuntamento al Quirinale ha dichiarato, in forma anche piuttosto irrituale, le proprie dimissioni a valle dell’approvazione della legge di stabilità economica, calendarizzata per la fine del mese di novembre e prevista in ogni caso entro la fine dell’anno.

Giornali e blog si sono scatenati nel celebrare la fine del berlusconismo, con prime pagine a tratti sensazionalistiche, ma a tutti gli effetti veramente avventate in questo momento del dibattito politico.

Prime pagine dei quotidiani
09/11/2011

L’enormità del concetto di dimissioni associato alla figura del Presidente Berlusconi ha occupato le prime pagine dei quotidiani, che però non hanno saputo approfondire né il modo in cui queste dimissioni potranno giungere a maturazione né gli scenari che si prospettano per il futuro, scenari che potrebbero vedere il Cavaliere ancora protagonista e mattatore della politica italiana.

La scelta che le opposizioni hanno preso di non votare per il rendiconto dello Stato, seppure ammantata di una coltre di parole sulla responsabilità istituzionale e sulla necessità di far passare un simile provvedimento, è in realtà una mossa che presenta connotazioni squisitamente politiche.
Omologando infatti il voto delle opposizioni a quello dei malpancisti della maggioranza, si è venuto a creare un blocco numerico di 321 astensioni (di cui 320 dettate dal non voto e una reale) che in realtà non corrisponde ad un vero voto politico.
Se vi fosse stata una mozione di sfiducia, è possibile supporre che tale cifra sarebbe stata raggiunta? Quante sarebbero state le astensioni e quanti i voti contrari? I voti contrari alla fiducia sarebbero stati almeno i 308 raggranellati dalla maggioranza?
Il voto dell’8 novembre prova che Berlusconi sia ormai alla guida di un Governo di minoranza, ma non è assolutamente in grado di dimostrare che il Cavaliere non abbia più la maggioranza relativa della Camera dei Deputati.

Berlusconi non è quindi stato formalmente sfiduciato e non ci sono nemmeno i presupposti per affermare che una mozione di sfiducia possa essere in grado di far cadere il Governo.

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[ad]L’annuncio di queste dimissioni, non formalmente dovute e neppure così scontate alla vigilia, deve quindi essere letto per quello che è: una scelta da parte di Berlusconi. E trattandosi di una scelta, è lecito pensare che vi possano essere motivazioni alle spalle che ne giustifichino la bontà e l’avvedutezza politica.

Il primo punto da tenere in considerazione sono proprio i paletti messi dal premier, ovvero le dimissioni a valle della legge di bilancio. Dal dibattito politico sulle dimissioni sono spariti i riferimenti alla situazioni giudiziaria del Presidente del Consiglio, ma non bisogna dimenticare quella bomba ad orologieria che è il Processo Mills, che si sta avvicinando alla sentena di primo grado, mentre è in attesa di partire anche il processo Ruby. Che cosa ci si dovrà aspettare, quindi, nel maxi-emendamento che sarà presentato nella serata del 9 novembre al Senato?
Se si scorrono le bozze dei lavori preparatori al Consiglio dei Ministri del 24 ottobre (quello che avrebbe dovuto licenziare il decreto sviluppo, se le votazioni alla Camera avessero avuto esito differente) si scopre la legge ad personam post mortem per l’abolizione della legittima successione e si scoprono i condoni. E poiché già più volte in passato il PdL ha cercato di inserire in norme di politica economica provvedimenti sulle intercettazioni e sulla prescrizione, è lecito attendersi colpi di coda di questo genere nel nuovo provvedimento. Uniti a provvedimenti di macelleria sociale come una nuova riforma delle pensioni e la norma sui licenziamenti facili.
Berlusconi, sostanzialmente, potrebbe far pagare un prezzo salatissimo per il suo farsi da parte, salvacondotti giudiziari che lo mettano una volta per tutte al di fuori della portata della magistratura, riuscendo da dimissionario a fare quello che non gli era mai riuscito da Presidente del Consiglio.

Ma la vera beffa è che il destino politico di Berlusconi non è, in realtà, ancora segnato. Berlusconi e Bossi, si sa, vogliono andare subito alle urne; eppure è preciso dovere del Presidente della Repubblica individuare l’esistenza di maggioranze alternative prima di sciogliere le Camere e ridare la parola ai cittadini, e in realtà non tutti gli scenari possibili sono sfavorevoli al Cavaliere.
Le elezioni immediate, in effetti, paiono proprio essere lo scenario meno favorevole per Berlusconi, malgrado la sua dichiarata preferenza per questa strada: i sondaggi danno PdL e Lega su valori molto bassi, con un Nuovo Ulivo oltre otto punti avanti. Malgrado l’abilità del premier nel condurre le campagne elettorali l’unico appiglio che Berlusconi, le argomentazioni del Cavaliere in questo frangente suonerebbero assai fiacche e poco convincenti. Puntare il dito – come sempre – su alleati infedeli che impediscono l’attuazione del programma di Governo, oppure evocare la paura del partito delle tasse e della spesa pubblica suonano infatti argomentazioni trite e ritrite, in particolar modo dopo le mancate promesse di risparmi fiscali dell’Esecutivo. Sicuramente Berlusconi deve essere consapevole della sua oggettiva debolezza in una competizione elettorale immediata o a breve termine (gennaio 2012), e la sua invocazione alle urne suona piuttosto come uno slogan pubblicitario nel caso in cui si verifichi lo scenario opposto, ovvero il cosiddetto governo tecnico.
Proprio il governo tecnico, infatti, sarebbe un’opzione davvero vantaggiosa per il Cavaliere. Un esecutivo guidato, ad esempio, da Mario Monti con il sostegno delle forze oggi di opposizione più i malpancisti della maggioranza sarebbe un facile bersaglio per la campagna elettorale di Berlusconi. Le condizioni del nostro bilancio sono tali da richiedere misure durissime, misure contro cui – abbandonando il fair play istituzionale che la situazione richiederebbe e che infatti oggi il PdL richiede all’opposizione – Berlusconi potrebbe scagliarsi con tutta la forza del suo impero mediatico. Avrebbe vita facile Berlusconi a infierire su un esecutivo costretto a imporre nuove tasse, o a far digerire all’Italia la stessa amara medicina toccata alla Grecia. Per non parlare, inoltre, del fatto che un nuovo esecutivo tecnico soffrirebbe della medesima debolezza di quello attuale: sarebbe tremendamente fragile, in balia degli Scilipoti di turno, costretto a negoziare con posti e prebende la fedeltà dei singoli cani sciolti. E infine, naturalmente, c’è la scommessa della possibilità di reali convergenze tra partiti eterogenei come FLI, UdC, PD e IdV su temi di ampia rilevanza sociale. Comodamente all’opposizione, Berlusconi potrebbe assistere tranquillo al disfacimento di un qualsiasi esecutivo tecnico e preparare il proprio ritorno in grande stile, una volta cambiata ancora una volta la marea a colpi di riforme lacrime e sangue.

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[ad]Un salvacondotto subito ed un rientro da vincitore domani. Ecco la grandiosa scommessa del Cavaliere, una scommessa azzardata, forse fatale, ma che Berlusconi sta giocando con la consueta maestria, facendo danzare alla sua musica amici e avversari. Mentre l’Italia va alla deriva.
Allora, se esecutivo di transizione deve essere, che faccia la riforma elettorale, che avvi almeno in prima lettura le riforme costituzionali promesse da Berlusconi sull’abolizione delle province ed il dimezzamento dei parlamentari, e che si ritorni poi subito alle urne. Il destino del Paese deve poter essere separato da quello dei suoi cittadini, persino di un simile cittadino; l’Italia ha bisogno di una maggioranza forte e coesa – di destra, di centro o di sinistra – in grado di poterla guidare al di fuori della tempesta, dotata di credibilità e soprattutto di senso dello Stato.
E neutralizzare il Caimano e suoi colpi di coda è condizione imprescindibile affinché questo possa realizzarsi.