La fine del PCI e i primi anni di Rifondazione Comunista
La frammentazione nel campo comunista non è solo un fenomeno tipico della Seconda Repubblica. In precedenza alcuni piccoli partiti tentavano di insidiare il Partito Comunista Italiano, come Democrazia Proletaria e il Partito di Unità Proletaria, oltre ai gruppi della sinistra extraparlamentare. È a partire invece dagli anni Novanta che si apre una tendenza sistemica alla scissione e alla ricomposizione della sinistra di tradizione comunista. La prima importante frattura che si realizza è di stampo marcatamente ideologico e si verifica al termine dell’ultimo congresso del Pci.
Alle 13 del 3 febbraio 1991 una novantina di delegati su circa 1.300 si riuniscono nella Sala E della Fiera di Rimini e tengono una conferenza stampa che annuncia la nascita di un Movimento per la Rifondazione Comunista (PRC). Il gruppo dirigente guidato, tra gli altri, da Cossutta e Garavini, rifiuta di aderire al Partito Democratico della Sinistra, reo di aver mandato agli archivi nome e simbolo del Pci. La scissione è importante nei numeri, circa 112 mila adesioni a fine ’91, e la composizione interna di Rifondazione è molto variegata: dai “cossuttiani” agli ex ingraiani che hanno rinunciato a svolgere un ruolo di minoranza nel PDS, dal gruppo ex Pdup a Dp, fino alla piccola fazione del Partito Comunista d’Italia marxista-leninista. Al primo congresso del Partito della Rifondazione Comunista Sergio Garavini viene eletto segretario, mentre Armando Cossutta presidente.
Alla prima prova elettorale, nella primavera del 1992, il PRC ottiene il 5,6%, pari a oltre 2 milioni e 200 mila voti. Si ha così la conferma che c’è uno spazio contendibile a sinistra del Pds, diagnosi che convince i fondatori del nuovo partito a proseguire l’esperienza neo-comunista. Il nuovo sistema elettorale entrato in vigore nel 1993, per due terzi maggioritario, sembra svantaggiare il debole radicamento che Rifondazione possiede sul territorio. Ciononostante, alle elezioni anticipate del 1994 il partito raggiunge il 6,1%. Si inizia dunque a discutere di un’alleanza organica con il centrosinistra e con questo obiettivo strategico sale alla segreteria Fausto Bertinotti, sindacalista da poco iscritto al PRC e considerato una figura esterna di sintesi tra le varie anime interne. Dopo la caduta del primo governo Berlusconi, però, il partito si divide tra chi intende sostenere un mandato a termine del governo Dini e chi invece è contrario a questo tipo di scenario. In occasione dell’approvazione della riforma delle pensioni si verifica la prima vera e propria scissione del PRC: escono dal partito i dirigenti vicini a Garavini che andranno a formare il Movimento dei Comunisti Unitari, successivamente inglobato nei DS.
La concorrenza del PdCi e la prospettiva del centrosinistra
Alle politiche del 1996 c’è un ulteriore passo in avanti per la new left italiana: Rifondazione comunista ottiene il suo risultato migliore di sempre, oltre 3 milioni e 200 mila preferenze pari all’ 8,6% dei voti. Non ci sarà modo di capitalizzare questo consenso rilevante perché dopo l’approvazione di una pesante manovra finanziaria il dibattito tra le correnti interne del PRC si fa sempre più caldo, fin quando la maggioranza bertinottiana decide di togliere l’appoggio esterno al governo Prodi. Nel 1998 nasce quindi un nuovo esecutivo a guida D’Alema e va in scena la seconda scissione di Rifondazione che porta alla nascita del Partito dei Comunisti italiani, composto dalla corrente cossuttiana che non accetta la fine dell’esperienza governativa e intende spostare a sinistra l’asse dei governi di centrosinistra. È la prima volta per un partito comunista all’interno di un governo nazionale, rappresentato da due ministri e tre sottosegretari.
Le elezioni del 2001, con il PRC che corre da solo e il PdCi dentro al centrosinistra, vedono i due partiti toccare i minimi storici, il primo poco sopra il 5% e il secondo attorno all’1%. Rifondazione cerca così di impostare la sua linea politica aprendosi ai movimenti sociali e rendendo meno verticistica la struttura del partito. In vista delle elezioni politiche del 2006, però, si cerca di riannodare un’intesa con l’Unione per battere Berlusconi. Alle elezioni Rifondazione ottiene il 5,8% dei voti e per effetto del premio di maggioranza porta in Parlamento 41 deputati e 27 senatori, mentre il PdCI con il suo 2,3% elegge 16 deputati e 5 senatori. La compagine comunista esprime inoltre il Presidente della Camera Bertinotti e partecipa al governo con due ministri, un viceministro e otto sottosegretari. Dalla fine del PCI, è la pattuglia comunista più nutrita a presidiare i due emicicli, e sarà anche l’ultima. Dal 2008 in poi una serie di riaggregazioni top-down del campo comunista lasceranno lo stesso fuori dalla rappresentanza parlamentare.
Quel “maledetto” 2008
Con l’esperienza deludente de la Sinistra l’Arcobaleno, Rifondazione e Comunisti italiani toccano il punto più basso della loro storia non riuscendo a superare la soglia di sbarramento del 4%. Al Congresso di Chianciano del 2008 esce dal PRC la componente vicina a Nichi Vendola, che andrà a costituire successivamente Sinistra Ecologia Libertà, mentre alla segreteria si insedia Paolo Ferrero, convinto della ricostruzione identitaria del partito dopo il fallimento del cartello elettorale delle sinistre. In quest’ottica si tenta di ricomporre la divisione storica con il Pdci: nel 2009, dopo la sconfitta alle europee della lista Comunista-Anticapitalista, nasce la Federazione della Sinistra a cui si aggiungono Socialismo 2000 e l’associazione Lavoro-Solidarietà. Anche questo coordinamento ha vita breve: il PdCI, in vista delle primarie del centrosinistra del 2012, si schiera a sostegno di Vendola al primo turno e di Pier Luigi Bersani al secondo.
Nel 2013 la necessità di tornare in Parlamento da parte delle sigle comuniste induce però PRC, PdCI, Verdi e Italia dei Valori a costituire la lista Rivoluzione Civile, con Antonio Ingroia candidato premier. In questa occasione il rassemblement si ferma al 2,2%, senza eleggere rappresentanti. Un flebile spiraglio di ripartenza si intravede con le elezioni europee del 2014. In una fase di forte polarizzazione del voto a favore del Pd, l’unica lista alla sua sinistra riesce nell’impresa di superare la soglia di accesso al Parlamento europeo. Tra i 3 eletti de l’Altra Europa con Tsipras c’è Eleonora Forenza, dirigente nazionale del PRC ed esponente della minoranza interna. Quest’ultimo contenitore di sinistra non riesce però a sopravvivere nonostante il successo elettorale. Sarà la vittoria del No al referendum costituzionale del 2016 a riattivare i processi di aggregazione a sinistra. Nel frattempo il PdCI cambia nome in Partito Comunista Italiano, accogliendo alcuni delusi di Rifondazione.
L’intento di creare un nuovo contenitore a sinistra dopo l’assemblea al teatro Brancaccio fallisce per l’indisponibilità dei comunisti a trattare con gli ex PD. Si originano così due percorsi distinti che porteranno alle elezioni del 2018 la lista di Liberi e Uguali da un lato e di Potere al Popolo! dall’altro, sostenuta da PRC, PCI, Sinistra Anticapitalista e altri movimenti che si fermerà all’1,1%. Fuori dal Parlamento restano inoltre il Partito Comunista e la lista Per una Sinistra Rivoluzionaria, cartello composto da Partito Comunista dei Lavoratori e Sinistra Classe Rivoluzione, la componente FalceMartello fuoriuscita dal PRC nel 2016.
Dal 2019, seppure per effetto di un cambio di casacca, la senatrice Paola Nugnes espulsa dal Movimento 5 Stelle ha dichiarato la propria adesione alla componente del gruppo misto Liberi e Uguali ed ha affermato di rappresentare da indipendente il Partito della Rifondazione Comunista. Per il momento il suo è un ruolo di portavoce delle istanze del Prc in Senato e non è prevista a breve un’iscrizione formale al partito.
La galassia comunista oggi
Oggi la galassia dei comunisti in Italia si ritrova tutta all’opposizione del governo Conte: alcuni partiti stanno perseguendo un’unità d’azione all’interno del Coordinamento nazionale delle Sinistre d’Opposizione come Partito Comunista Italiano, Partito Comunista dei Lavoratori, Partito Marxista-Leninista Italiano, Fronte Popolare e Sinistra Anticapitalista, altri ne sono ben presto usciti, come Pap e Prc. Tutte queste sigle intendono rappresentare le lavoratrici e i lavoratori italiani, le classi subalterne, gli emarginati e gli sfruttati, ma restano notevoli differenze su come intendono muoversi per raggiungere tali obiettivi.
Il PRC, ad esempio, propone l’obiettivo di un nuovo partito comunista di massa e la partecipazione ad uno schieramento politico di alternativa che prevede anche la possibilità di non presentare il proprio simbolo sulla scheda elettorale.
Il PCI guarda all’unità d’azione dei comunisti, ma senza prevedere il superamento della propria struttura di partito. Il Pci è disposto ad alleanze elettorali purché al momento del voto sia ben visibile e riconoscibile il proprio simbolo.
PaP invece, nato su spinta del centro sociale Je so’ pazzo di Napoli, ha piuttosto le caratteristiche di un movimento populista di sinistra che mal si concilia con chi si rifà ad una precisa ideologia. Accanto alla giustizia sociale guarda all’ampliamento dei diritti civili e alla tutela dell’ambiente, temi tipici della sinistra radicale europea. Tra le richieste principali c’è più democrazia e partecipazione dei cittadini a tutti i livelli, mentre alcuni partiti della galassia comunista propongono al contrario di superare la democrazia rappresentativa.
È il caso del PCL, nato dalla scissione dei trotzkisti di Rifondazione al momento del varo del governo Prodi II, che propone la costruzione di un polo autonomo anticapitalistico che ha come orizzonte un governo dei lavoratori in aperta rottura con l’ordine capitalistico della società.
Il PC guidato da Marco Rizzo, espulso nel 2009 dal PdCi, si pone invece come unico riferimento del comunismo italiano. Propone chiaramente di uscire dall’UE e dall’Euro e non rinnega l’esperienza sovietica sotto Stalin, bensì attribuisce a Krusciov il ruolo di smantellatore del socialismo.
Il programma del Partito Marxista Leninista Italiano prevede infine l’instaurazione del comunismo attraverso la dittatura del proletariato e per fare ciò è aperto ad alleanze con gli strati sociali che intendono rovesciare il potere borghese.
L’unità dei comunisti è dunque al momento un fatto improbabile, principalmente per questioni programmatiche. Le incertezze dovute alla pandemia da Covid-19, inoltre, non faranno altro che cristallizzare per altro tempo lo stato di estrema frammentazione interno a questo schieramento.