Adieu Vasto…
A nessuno farebbe piacere in queste ore essere Silvio Berlusconi. Metti fuori di casa la tua testa e ti toccano le monetine, ma in pochi vorrebbero vestire i panni di Pierluigi Bersani, ovvero di colui che in una democrazia compiuta da leader dell’opposizione andrebbe lietamente alle elezioni per farsi incoronare vincitore e primo ministro. Eppure con la fine dell’età berlusconiana e la navigazione incerta del futuro governo Monti, in un colpo solo Bersani vede a rischio sia la sua leadership nel Partito Democratico che la sua premiership. Potrà apparire paradossale, ma la genesi della crisi di governo – che ha sancito la rivincita dei mercati sulla cattiva politica – ha tolto il pallino dalle mani del centrodestra senza consegnarlo al Pd.
[ad]La sfiducia al governo attraverso lo spread non ha soltanto tolto dal palcoscenico Bersani, ma lo irregimenta ora su un solo e unico binario per sperare di arrivare a palazzo Chigi. Come in una partita di scacchi con più avversari il segretario dei democrat deve rintuzzare tanti tentativi di scacco matto, potendo seguire lui invece una sola tattica. La prima insidia viene dal Pdl. Si sa che sull’imposta patrimoniale in queste ore gli uomini di Alfano sono impegnati in una lotta di nervi col Pd per toglierla dall’agenda del nuovo premier. E, mano a mano che si avvicina il momento dello scioglimento della riserva dell’incarico, pongono vincoli crescenti alla libertà d’azione del governo Monti.
A nessuno conviene far saltare il banco – e questa è la vera fortuna per il centrosinistra –, tanto meno al Pd che da Monti pare stia avendo positivi riscontri nel programma economico: dalla patrimoniale alla reintroduzione dell’Ici, dalla lotta alle rendite degli ordini professionali alle liberalizzazioni SuperMario si fa garante di quell’equità sociale, sulla quale il partito di Bersani coagula la sinistra di Vendola, tutto il Terzo Polo, le associazioni di categoria – compresa l’ostile Confindustria – e i sindacati riacciuffando probabilmente la Cgil. A questo punto una manina progressista e democratica potrebbe alzare la mano e chiedere: visto il largo consenso del mondo politico e sociale non funzionerebbe questo pacchetto di interventi con un governo di centrosinistra dopo le elezioni? Bene, qui vale la pena tornare alle basi della politica. Pensare di proporre in campagna elettorale una valanga di tasse, scontando peraltro anche un’ostilità ideologica verso i meccanismi della comunicazione e del sano marketing politico, vorrebbe dire esporsi ad una graticola di due mesi e alla dilapidazione degli oltre dieci punti di vantaggio. Il percorso delle elezioni anticipate è quindi cassato. Equivarrebbe a pensare che un’Italia ancora condizionata dalla potente metafora berlusconiana del “non mettere le mani nelle tasche dei cittadini” possa applaudire chi promette di svuotargliele. Molto meglio ispirarsi alla lezione dell’amnistia.
(per continuare la lettura cliccare su “2”)