Governo tecnico o politico?
Nella giornata odierna il Presidente del Consiglio incaricato, Mario Monti, scioglierà la riserva dinanzi al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e presenterà la sua squadra di Governo, per poi affrontare nei giorni successivi la votazione di fiducia nelle due aule del Parlamento.
[ad]Terminerà così una lunga settimana di illazioni, supposizioni e forse anche suggerimenti più o meno velati da parte di questo o quel settore della società sulla scelta dei ministri, ed in particolare sulla presenza di figure di stampo politico nella formazione di Governo.
Nel corso della convulsi giorni seguiti alle dimissioni di Silvio Berlusconi, si può ben dire che l’opinione pubblica e gli stessi organi di informazione abbiano seguito nel tempo tutta la possibile gamma di predisposizioni nei confronti della composizione del Governo, evidenziando di volta in volta questo o quel vantaggio ma di fatto senza arrivare a vere conclusioni su quale possa essere la scelta migliore per l’Italia.
I problemi dell’Italia possono essere riassunti in due parole: debito e sfiducia. La combinazione di questi due fattori è lo spread, ovvero il differenziale di interessi sul debito pubblico rispetto ai paesi virtuosi che dobbiamo sopportare per piazzare i nostri titoli di Stato.
Il primo problema è puramente interno: per decenni l’Italia ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità, contraendo debiti con il futuro… ed il futuro degli anni ’80 è oggi; il secondo problema, che da adito a più o meno fantasiose teorie complottistiche, riguarda invece la credibilità dell’Italia sui mercati internazionali, e – presupponendo che non vi siano decisioni prese in qualche stanza dei bottoni che vogliono vedere l’Italia fallita a prescindere dai suoi comportamenti – questa deve essere conquistata attraverso dimostrazioni di stabilità e credibilità.
Partendo da queti presupposti, e utilizzando come contraltare il precedente Governo Berlusconi IV che non ha saputo fronteggiare nessuna delle due emergenze del Paese, i requisiti che si richiedono al Governo Monti sono principalmente la volontà e la predisposizione a fare le riforme necessarie per ridurre la spesa pubblica e la capacità di tenere fede agli impegni con l’UE.
Naturalmente una simile responsabiiltà non può essere delegata unicamente al potere esecutivo: la struttura istituzionale italiana classifica il nostro Paese come repubblica parlamentare. Ogni legge dovrà essere discussa e approvata in Parlamento, lo stesso Parlamento uscito dalle elezioni del 2008 e che ha condotto il Paese all’attuale situazione.
È tuttavia innegabile che la squadra di Governo fornirà impressioni di prima istanza molto importanti sia sulla serietà e competenza dello stesso, sia sulla volontà e la direzione delle riforme da intraprendere, sia infine sulla capacità delle forze politiche di sostenere l’esecutivo e per quanto tempo.
La diatriba sulla presenza di personalità tecniche o politiche all’interno della squadra di governo è da questo punto di vista assolutamente dirimente.
Al momento delle dimissioni di Berlusconi hanno prevalso, sia nell’opinione pubblica sia presso molti organi di informazione, sentimenti di totale rigetto verso la classe politica nel suo complesso: con Monti incoronato premier in pectore dalla brillante mossa politica di Giorgio Napolitano, le speranze dei più erano rivolte verso un governo di sole personalità tecniche, che escludesse personalità politiche sia per essere in grado di richiedere quei famosi tagli alla casta che vengono ormai trasversalmente considerati necessari, sia per fare in modo che le posizioni dei Ministri non fossero condizionate da logiche di partito.
Il progressivo rafforzamento della posizione di Mario Monti – dovuto anche al repentino calo dello spread nei giorni immediatamente successivi alle dimissioni di Berlusconi – hanno tuttavia iniziato a picconare questa visione.
I commentatori politici hanno progressivamente rivisto l’immagine di un Mario Monti debole, ostaggio dei partiti, per abbracciare quella di un Monti forte; anziché un governo “lacrime e sangue”, un governo vincente, in grado di ridare lustro all’immagine dell’Italia all’estero. Inizialmente questo radicale mutamento di scenario non ha avuto impatti sulla diatriba tra governo tecnico e politico, e anzi nell’opinione pubblica era ancora più radicata l’idea di tenere i politici lontani dai posti ministeriali.
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