20 anni di Berlusconi con il grandangolo
15 aprile 1994 – 27 novembre 2013. Sono questi i due limiti temporali del mandato parlamentare di Silvio Berlusconi. 7167 giorni (vacanze comprese) nei quali il Cavaliere è stato “titolare” di un seggio, 6909 alla Camera e 258 al Senato (titolare, sì, ma non sempre presente, come le vicende degli ultimi mesi testimoniano chiaramente). Di quei 7167 giorni, ne ha trascorsi 3343 da Presidente del Consiglio, spalmati su tre legislature e quattro governi (considerando quindi anche il reincarico del 2005).
Di questa pletora immensa di giorni (che non costituisce il record di presenza in Parlamento, visto che il primato assoluto spetta chiaramente a Giulio Andreotti, che però ha governato oltre 500 giorni in meno del Cavaliere, se non si contano le sue presenze da ministro) è difficile dire quanti siano stati di vento in poppa, in cui Berlusconi abbia potuto di esercitare il suo potere con relativa tranquillità. E questo non solo per le vicende giudiziarie che hanno accompagnato la sua storia prima ancora della “discesa in campo” e della sua prima elezione.
Forse solo i giorni che hanno immediatamente seguito le elezioni europee del giugno 1994 e i primi mesi della XVI legislatura nel 2008 si sono potuti dire davvero tranquilli: la prima volta Forza Italia aveva superato il 30% dei consensi, una quota che in passato era stata nelle mani della sola Dc (e che in un quadro multipartitico era difficile da raggiungere); la seconda volta, la netta maggioranza ottenuta e il centinaio di deputati in più rispetto agli avversai attribuito dalla legge elettorale sembravano suggerire all’esecutivo e al suo presidente una navigazione tranquilla.
Nemmeno Berlusconi, però, poteva lontanamente immaginare che, nel giro di tre anni, quel vistoso margine si sarebbe via via eroso fino praticamente ad annullarsi, mentre il paese era colpito da una crisi economica e finanziaria (con lo spread alle stelle). Il Cavaliere lasciò Palazzo Chigi senza un briciolo di volontà, ben intenzionato a rimanere in campo. Prendendosela, certamente, con chi anche quella volta aveva finito per ingessarne l’azione.
E’ indubbio, infatti, che in tutte le esperienze di governo Berlusconi abbia sempre dovuto fare i conti con posizioni minoritarie, all’interno della coalizione o (nel Pdl) all’interno del suo stesso partito. Accadde con la Lega Nord nel 1994, fondamentale per la nascita del primo governo del Cavaliere ma altrettanto determinante nel toglierli la fiducia alla fine del 1994 (salvo poi ricucire successivamente, in un rapporto indubbiamente a corrente alternata).
Accadde essenzialmente con l’Udc che fu tra i soggetti che provocarono (insieme al pessimo risultato elettorale del 2005) la fine del governo Berlusconi II. Accadde con Gianfranco Fini e i suoi sostenitori, che tra il 2008 e il 2009 avevano contribuito a far nascere il Pdl, ma alla fine del 2010 avevano scelto di andarsene rumorosamente, dopo settimane e mesi di tensione con la parte fedele al Cavaliere.
Del quasiventennio di politica berlusconiana, per chi l’ha condivisa resteranno i numeri delle riforme fatte (snocciolati anche di recente al Consiglio nazionale), alcune vittorie elettorali memorabili, il “Contratto con gli Italiani” del 2001 firmato chez Vespa, il colpo a sorpresa dell’abolizione dell’Ici (mantenuta nel 2008), il rapporto speciale con George W. Bush e Vladimir Putin, oltre allo sdegno provocato – a loro dire – da una campagna maleodorante e continua condotta dagli avversari e dalla magistratura e dal rammarico per non avere ottenuto la riforma più delicata, quella della giustizia.
Per chi non ha mai amato Berlusconi, invece, questi due decenni saranno soprattutto quelli del conflitto di interessi mai venuto meno (e mai adeguatamente regolato dal centrosinistra), delle battaglie (poco incisive) contro un certo modo di intendere la tv, delle leggi e delle norme ad personam spuntate qua e là, del Porcellum voluto dal penultimo esecutivo a guida berlusconiana, degli scandali continui a sfondo criminale, mafioso, sessuale e costellati di casi imperdibili (dalla casa di Scajola al “metodo Boffo”).
Due ritratti del tutto inconciliabili, dunque, che però coincidono almeno in due particolari: le date di inizio e di fine con cui questo articolo si è aperto. Una differenza ulteriore, però, c’è anche qui: i detrattori del decaduto vorrebbero incidere la seconda data nella pietra, chi ama Berlusconi vorrebbe che scolorasse fino a cancellarsi, per aprire una nuova era nel segno del Cavaliere. Età e giustizia permettendo.