Prima che la politica pensi seriamente alla riforma e al superamento del finanziamento pubblico dei partiti, potrebbe intervenire (se le cose prendessero una certa piega) la Corte costituzionale. E’ notizia di oggi, infatti, che il procuratore del Lazio della Corte dei Conti, Raffaele De Dominicis, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale di tutte le leggi, a partire dal 1997, che hanno reintrodotto il finanziamento pubblico dei partiti: nessuna di esse, in particolare, avrebbe rispettato l’esito del referendum abrogativo su cui i cittadini si erano pronunciati nel 1993.
E’ stato lo stesso De Dominicis a farlo sapere, mentre comunicava con i giornalisti a proposito della parificazione (molto problematica) del rendiconto della regione Lazio: la questione, in particolare, sarebbe stata sollevata nell’ambito dell’indagine aperta nei confronti dell’ex amministratore-tesoriere della Margherita Luigi Lusi, finito nell’occhio del ciclone nel 2012 per l’uso dei fondi del partito e sottoposto a processo penale per illecite sottrazioni di denaro pubblico.
Il referendum tradito – Il procuratore ricorda la consultazione del 1993, con cui il corpo elettorale “fornì una risposta decisamente negativa in relazione alla persistenza delle erogazioni di contributi statali a beneficio dei partiti politici e dei movimenti e/o gruppi ad essi collegati”: in questo senso, le norme introdotte dal 1997 in poi “sono da ritenersi apertamente elusive e manipolative del risultato referendario, e quindi materialmente ripristinatorie di norme abrogate”.
Basandosi su questa riflessione, per la procura contabile del Lazio “tutte le disposizioni impugnate, a partire dal 1997 e, via via riprodotte nel 1999, nel 2002, nel 2006 e per ultimo nel 2012, hanno ripristinato i privilegi abrogati col referendum del 1993, facendo ricorso ad artifici semantici, come il rimborso al posto del contributo; gli sgravi fiscali al posto di autentici donativi; così alimentando la sfiducia del cittadino e l’ondata disgregante dell’antipolitica”.
In sostanza, per il pm contabile queste differenze di linguaggio non sarebbero differenze sostanziali: in particolare, ciò che oggi la legge chiama “rimborso” somiglia molto di più, per l’entità e per la sua corresponsione (a partire dal 2006) per tutti gli anni del mandato parlamentare, anche quelli non effettuati, a un contributo pubblico. Di più, per De Dominicis sarebbero stati violati il principio di parità e di eguaglianza tra i partiti e dei cittadini che li votano: “La differenziazione degli importi dei rimborsi dopo il primo anno dalle elezioni si configura arbitraria e discriminatoria perché consolida la posizione di vantaggio solo di quei partiti che hanno raggiunto la maggioranza politico-parlamentare”.
L’intervento della Corte costituzionale, tuttavia, è ancora lontano: sollevata la questione dalla Procura, dovrà essere la Corte dei conti a decidere se rivolgersi o meno alla Consulta e solo in quel caso i giudici costituzionali dovranno pronunciarsi, scegliendo se salvare le norme o la decisione dei cittadini del 1993.