Es la economía, estúpido
Il titolo, famosa citazione di uno dei “sound bite” della gloriosa campagna elettorale di Bill Clinton del 1992, spiega al meglio quello che è stato il risultato della consultazione elettorale iberica, che ha visto dopo sette anni il ritorno al potere del Partido Popular con la vittoria schiacciante di Mariano Rajoy con il 44,5% contro il ‘misero’ 28% dell’avversario dei socialisti dello Psoe guidati da Alfredo Rubalcalba, che ha avuto l’ingrato ruolo di successore del dimissionario Zapatero.
[ad]La Spagna esce da queste elezioni e torna ad essere – come è stata quasi sempre anche l’Italia – un paese tendenzialmente moderato/conservatore se escludiamo i 14 anni al governo di Felipe Gonzales. La prossima maggioranza parlamentare – grazie al sistema elettorale spagnolo basato su un proporzionale con circoscrizioni medio-piccole che tendono ad annullare l’effetto moltiplicativo e che garantiscono una buona rappresentanza ai partiti regionali (caratteristica che si conferma anche in queste elezioni politiche) – si baserà presumibilmente su 186 seggi, che permetteranno al Partido Popular di avere la maggioranza assoluta. Dall’altro lato è irrisorio il risultato del Psoe, arrivato al minimo storico post-franchista, che riesce ad arrivare solo a quota 110. Bene le formazioni regionali: i nazionalisti moderati catalani superano di un paio i 10 seggi precedenti, la coalizione di sinistra Izquierda Unida li quadruplica (da 2 a 8 o forse 9), mentre nella nazione basca si afferma la sinistra radicale dell’Amaiur, che entra in pompa magna al Congreso con 6 deputati, mentre perdono un seggio i nazionalisti baschi moderati di Pmv.
Una vittoria strabordante quella del Pp, che lo carica di una responsabilità ancora maggiore nel tirar fuori dalla crisi un paese dove, svanito l’effetto della crescita interna che sfiorava il 4% grazie alle speculazioni edilizie (una sorta di ‘furboni del quartierino’), ora la popolazione si ritrova con una disoccupazione elevatissima (al 21,5%) e con un’inflazione che supera il 4%. Ed il famoso “spread”? Anche i cugini iberici veleggiano intorno ai 400-500 punti di differenziale, camminando pericolosamente sull’orlo della recessione.
Per i socialisti si tratta perciò di passare la mano ed aspettare 4 anni costruendo. Un lavoro iniziato dal momento delle dimissioni anticipate di Zapatero che, da statista, si è accorto dell’impossibilità di porre soluzioni alla situazione attuale e si è defilato sventolando bandiera bianca. Un gesto che un partito organizzato, come pare essere il Psoe, ha metabolizzato e che supererà mettendosi al lavoro fin dal giorno dopo le elezioni. E gli Indignatos? Utilizzando un termine spagnoleggiante, paiono desaparecidi.