Li chiamano moderati, se li contendono i maggiori partiti del paese, sono sparsi in Parlamento in gruppi diversi o avversari: sono i liberali italiani, vecchia gloria di una base politica tradizionale alla quale è impossibile non appellarsi, soprattutto in campagna elettorale.
La storia liberale italiana risale alla fondazione dello Stato unitario e può trovare il suo primo esponente in Camillo Benso conte di Cavour, padre della nazione tricolore e maggiore propugnatore delle idee liberali. Un’accelerazione storica ci rimanda al 1948, anno di nomina del liberalissimo presidente della Repubblica Luigi Einaudi, poi al giuramento nel 1981 del primo presidente del Consiglio non-DC Giovanni Spadolini (che però era repubblicano), uno dei leader del Pentapartito (DC, PSI, PSDI, PRI, PLI), che ha dominato la politica romana dall’inizio degli anni Ottanta sino allo scoppio di Tangentopoli (1992).
Il prosieguo della storia è noto a tutti: la discesa in campo di Silvio Berlusconi con Forza Italia – Volume 1 – nel 1994 e la parvenza di una ricomposizione della frattura liberale, che in realtà ha assunto le forme di una diaspora senza ritorno nel deserto della Seconda Repubblica.
Negli anni 2000 la situazione non migliora, almeno fino all’ultima campagna elettorale per le Politiche 2013. L’organizzazione di un movimento d’ispirazione neocentrista come Scelta Civica di Mario Monti, l’intangibile discesa in campo di Montezemolo con il think tank Italia Futura e la nascita di Fare per Fermare il declino (FID) nel luglio del 2012 hanno arricchito l’offerta liberale. Ma alle ultime elezioni abbiamo assistito all’ennesima frammentazione del suo elettorato, i cui voti sono confluiti principalmente nei due maggiori partiti, il fu Pdl e il Pd.
Proprio FID – il movimento più innovativo assieme al M5S – è stato protagonista di una recente scissione. Infatti il presidente Michele Boldrin non è riuscito ad evitare la dipartita di Silvia Enrico, presidente ad interim di FID dopo lo scandalo laurea di Giannino, e Alessandro De Nicola, presidente dell’Adam Smith Society e nome di punta del Fare originario.
Sabato scorso, al teatro Puccini di Milano, i due hanno tenuto il battesimo dell’Alleanza Liberaldemocratica per l’Italia (ALI), che ha avuto come ospiti sia esponenti di Scelta Civica sia Oscar Giannino, il quale ha precisato: “Non sarò candidato perché dopo la botta che ho preso, per mia colpa, questi sono percorsi senza ritorno. Ma continuerò a girare, a scrivere, a prendere insulti meritati, ad andare da chiunque mi inviti come ALI, per diffondere il messaggio che alle prossime europee è necessario sostenere candidati che condividono queste idee, e battersi affinché l’Italia possa intraprendere un cammino capace di portarla fuori dal baratro della spesa pubblica”.
L’obiettivo di ALI è quello di tessere un’alleanza “permanente” con Scelta Civica: “Scelta Civica non era nata per bilanciare tra berlusconismo e anti berlusconismo e tenere Napolitano sul Colle per mille anni – ha detto il montiano Enrico Zanetti – ma era nata per chiudere con questo sistema e mandare a casa questa gente. Poi, siccome a differenza del populismo grillino noi ci pieghiamo ai numeri della democrazia, abbiamo accettato la situazione. Ma la nostra pazienza sta finendo ed è per questo che Sc guarda con favore a movimenti come ALI”. Su quest’ultimo punto la leader Silvia Enrico è stata chiara: “Bisogna riallacciare i rapporti tra i liberali della società civile e quelli già presenti in Parlamento, dopo il fallimento del ventennio berlusconiano”.
C’è un curioso retroscena che riguarda proprio la nascita di ALI: i firmatari del manifesto di Fermare il Declino e i militanti di Fare sono stati avvisati per primi dell’evento milanese. Questo perché il database di FID apparterrebbe al neomovimento dissidente. Ezio Bussoletti del direttivo di Fare si è detto sconcertato per l’utilizzo improprio dei dati: “Ho l’impressione che l’uso dei dati in questione da parte di soggetti diversi e per fini differenti dall’attività di Fare per Fermare il Declino sia illecito”.
Si può parlare quindi di un Fare disfatto? Sembrerebbe di no anche perché “l’odiato” Boldrin, in vista delle elezioni europee di giugno, ha aderito al progetto di una federazione liberale. Qualche settimana fa è stato presentato il manifesto dal titolo In cammino per cambiare. Tale documento ha avuto l’assenso del redivivo Partito Liberale Italiano e di vari movimenti quali Progett’Azione, Uniti verso Nord, Partito Federalista Europeo e Liberalitaliani.
Il programma ricalca – a grandi linee – il manifesto di Fermare il Declino. Dunque la prossima meta di Michele Boldrin si chiama Bruxelles: “Tutti assieme abbiamo lanciato un appello pubblico a metterci assieme, per condividere un percorso di lungo termine, di opposizione prima e di governo poi, il cui primo obiettivo è la presentazione di una lista unica per le europee”. C’è chi ha rivelato che questo listone liberale faccia gola all’ex ministro Corrado Passera, il quale a gennaio scioglierà la riserva sul suo ritorno in campo politico.
La maggioranza dell’elettorato liberale è in cerca di un bipolarismo rinnovato, con una destra ancora occupata dal “vecchio sempreverde” Silvio Berlusconi. Probabilmente è in quella direzione che questi neonati movimenti – da Scelta Civica a ALI – vogliono sfondare, in attesa di una nuova vergine politica che li guidi verso la Terza Repubblica.