“L’ultima ruota del carro”, un successo made in Italy
“L’ultima ruota del carro”, un successo made in Italy
È una storia di speranze, di conquiste e di sconfitte, di felicità, di amore, di sani principi. È la storia di Ernesto Fioretti (interpretato da un bravissimo Elio Germano) che nella sua vita non ha fatto niente di eccezionale.
Sin da bambino definito “l’ultima ruota del carro” dal padre severo ed esigente, Ernesto cresce con quest’idea fissa in testa e non pretende in nessun modo di emergere. Durante il primo periodo della giovinezza lavora per la piccola impresa del padre, ed è in quegli anni che conosce e sposa la bellissima Angela (Alessandra Mastronardi) grazie alla quale troverà la forza di staccarsi dall’austerità del padre per lavorare prima come cuoco di asilo e poi fondare, insieme all’amico della vita Giacinto, la sua ditta di traslochi e trasporti. Sono questi forse gli anni più felici per il protagonista, che prova la soddisfazione di guadagnarsi da vivere spaccandosi – letteralmente – la schiena. Fino a quando il migliore amico, figura positiva/negativa nell’intreccio, lascia la ditta di traslochi per prendere posto in una grande azienda che gli assicura un profitto assai maggiore, per poi convincere a lavorarvici anche Ernesto, il quale si troverà così a contatto con il lusso, gli eccessi e anche la frode fiscale. Ma la sua indole rimarrà sempre fedele a quei sani principi che lo guidano per tutta la sua vita, e non riuscirà a trarre altra felicità che quella datagli dalla moglie e dal figlio.
Sullo sfondo si ripercorre la storia dell’Italia dagli anni settanta ad oggi (compaiono nel film l’omicidio di Aldo Moro, la vicenda di tangentopoli, fino all’affermazione di Berlusconi) vista dagli occhi degli “umili”, che, anche se dimostrano più partecipazione emotiva per i mondiali dell’82, non rimangono estranei ai fatti più seri, e finiscono per far coincidere i momenti di gioia o difficoltà della loro vita con quelli paralleli del paese.
In ogni caso non traspare, dalla regia di Giovanni Veronesi, nessun intento polemico, sociologico o populista: i fatti politici sono appena accennati ma non approfonditi. Un aspetto, quello storico, che in effetti avrebbe potuto essere sviluppato meglio, ma la scelta del regista è in linea con l’intento del film: lasciare che i protagonisti siano sempre e solo i personaggi, mai la storia.
Più evidenti senz’altro le trovate tutte positive: gli attori recitano tutti benissimo: spiccano su tutti Germano, Ricky Memphis (nella parte del migliore amico) e Alessandro Haber, che nei panni di un artista cinico e libertino, si rivela una vera figura di riferimento per Ernesto.
Molto bene anche la regia di Veronesi, sia nella scelta delle scene da mettere in risalto sia nel modo in cui fa scorrere la storia senza rallentamenti o attese eccessivi: 113 minuti che passano veloci, bilanciati tra momenti di commozione e altri di quella genuina ironia che se non sei italiano non capisci, ma se lo sei non può che strapparti una risata.
Senza dubbio una delle migliori riuscite di quest’anno per il grande schermo italiano: per rimanere nella metafora del titolo, direi proprio una delle ruote motrici.