Lo scandalo Juholt e i limiti dei socialdemocratici svedesi

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La scorsa primavera, quando Håkon Juholt è stato scelto per sostituire Mona Sahlin alla guida del partito socialdemocratico svedese, per i laburisti a Stoccolma sembrava stessero per tornare i tempi d’oro di qualche anno fa. Tra Juholt e i suoi elettori i primi tempi sono stati di dolcissima luna di miele. In estate qualcosa ha incominciato a incrinarsi. In autunno una doccia gelida ha risvegliato il partito dal sogno di aver risolto i propri problemi. Una doccia gelida piovuta sui laburisti sotto forma di uno scandalo che ha coinvolto direttamente il loro leader.

[ad]Per farla breve: la legge svedese prevede che i parlamentari che non risiedono a Stoccolma e che devono viaggiare nella capitale per motivi di lavoro hanno diritto a un rimborso per l’alloggio. L’indennizzo viene dimezzato se il deputato divide la casa con qualcun altro. È il caso di Juholt, che ha abitato nell’appartamento della capitale insieme alla sua compagna. Il fatto è che il leader socialdemocratico ha continuato a fare richiesta per il rimborso pieno, intascando senza averne diritto non una cifra esorbitante ma abbastanza da sollevare un polverone. Juholt sapeva? Sostiene di no: “Non conoscevo le regole” ha detto, una scusa che è suonata un po’ zoppicante e che non è piaciuta agli svedesi. Oltretutto forse le regole le conosceva eccome, almeno secondo alcune indiscrezioni pubblicate dal quotidiano Aftonbladet.

Morale della favola: scoppia lo scandalo. Nei giorni immediatamente successivi dal partito si sono levate voci che chiedevano a Juholt di dimettersi. Alla fine i vertici hanno deciso di confermargli la fiducia e di lasciarlo al suo posto.

Ma il prezzo pagato dal partito socialdemocratico è stato carissimo. A inizio novembre, un sondaggio piazzava i laburisti svedesi al 24,9%: se si pensa che era stato considerato un pessimo risultato il 30,7% alle elezioni del settembre scorso, allora non c’è da aggiungere altro. Ma è in queste settimane che c’è stato un vero tracollo: poco prima che lo scandalo scoppiasse, infatti, il partito secondo l’agenzia Synovate veleggiava intorno al 34%. Il sospetto che sia stato soprattutto Juholt e il suo pasticcio a trascinare giù il partito trova conferme quando si dà uno sguardo ai sondaggi sulla sua persona. Secondo l’agenzia Skop, solo il 17% degli svedesi crede che Juholt sia in grado di governare il paese. Tanti, tantissimi quelli che si dichiarano apertamente delusi. Per l’agenzia Demoskop, il 49enne avrebbe la fiducia di appena il 12% degli elettori. Pochissimo, se si considera che anche nel suo punto più basso l’ex leader Mona Sahlin (due sconfitte elettorali nel curriculum, non certo una figura entrata nel cuore dell’elettorato socialdemocratico) poteva contare comunque su un 20% di consensi.

Juholt ha provato a riallacciare il rapporto con i suoi elettori andando in giro perla Svezia, incontrando gente, ricorrendo a tutte le sue arti oratorie. È bastato? Finora no, i sondaggi hanno raccontato una risalita molto molto tiepida. Basterà? Difficile dirlo, anche se molti analisti propendono per una risposta negativa: Juholt non avrebbe margini per recuperare la fiducia perduta, il suo rapporto con la base del partito e con gli elettori socialdemocratici sarebbe compromesso. È un fatto di credibilità, semplicemente.

Nel corso di questi pochi mesi alla guida dei socialdemocratici, inoltre, qualche errore il Juholt l’ha fatto. In estate, ad esempio, la sua linea sulla partecipazione svedese al conflitto libico non è stata un esempio di chiarezza: le sue idee sono cambiate spesso. Pure su un tema decisivo come è quello dell’immigrazione, Juholt non ha saputo dare l’impressione di un progetto chiaro. Tutta colpa sua? In parte. Perché se è vero che ha certamente commesso qualche passo falso, è altrettanto vero che chi lo ha messo alla guida dei laburisti deve farsi un esame di coscienza: probabilmente non è stata la scelta giusta. Per dirla con la politologa Nicola Aylott, infatti, mesi fa Juholt è uscito dall’oscurità e si è trovato in cima al partito socialdemocratico. Già subito dopo la sua nomina s’era parlato di una scelta a sorpresa spiegata con la necessità di arrivare a una soluzione di compromesso, una figura intorno alla quale far convergere le varie anime che si agitano nel partito. I primi mesi erano stati incoraggianti: poi sono arrivati gli errori tattici. Lo scandalo a inizio autunno ha messo a nudo i limiti, quelli di Juholt e quelli del partito.

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[ad]Perché è evidente che i laburisti svedesi hanno ormai un problema legato alla figura del proprio leader. Dal secondo dopoguerra a oggi, al vertice del partito ci sono state in tutti sei persone. Nell’elenco figurano alcuni giganti della politica svedese come Erlander (che ha guidato i suoi dal 1946 al 1969) e Palme (dal 1969 al 1986). Poi sono arrivati Ingvar Carlson (negli anni difficili dal 1986 al 1996) e Göran Persson (dal 1996 al 2007) entrambi legati alla vecchia tradizione del partito e almeno una volta vincitori alle elezioni. Nel 2007 Mona Sahlin viene scelta come nuovo leader ma non lascia tracce memorabili. Dalla scorsa primavera è la volta di Juholt e la situazione è quella che è. Il partito l’ha riconfermato, ma colpi a sorpresa non possono essere esclusi visto che la maggior parte degli elettori laburisti continua a pensare che Juholt debba lasciare.

In pratica si sta palesando un problema di leadership che affonda le sue radici nel modo stesso in cui viene scelto il leader. In Svezia il partito socialdemocratico (ma non solo) affida a un apposito comitato la designazione dei candidati: spesso si tratta però di scelte blindate che attendono solo di essere ratificate dal congresso. È una dinamica che in questi anni sta mostrando palesi debolezze e che mette in luce i problemi di un partito che fatica a gestire il dialogo interno. Soprattutto in questa fase, invece, c’è bisogno di un colpo d’ala. La socialdemocrazia ha bisogno di parlarsi e parlare, di capirsi e capire prima di tutto dove vuole andare. Perché il problema, alla fine, è essenzialmente politico.

In questi anni il partito socialdemocratico si è ritrovato costretto a vivere una condizione inusuale nella sua storia: l’opposizione. Per decenni i laburisti hanno governato la Svezia anche nelle brevi parentesi in cui i conservatori sono stati maggioranza, i socialdemocratici hanno comunque dettato l’agenda. Dal 2006 non è più così, i Moderati del premier Reinfeldt guidano una coalizione di centro-destra riconfermata dagli elettori. I socialdemocratici devono inseguire. E non tutti sono concordi sulle scelte da fare. A oggi, infatti, se c’è una cosa che i commentatori rimproverano al partito è di non avere chiara la direzione da prendere. Svoltare al centro, come chiedono alcuni all’interno del partito? Ritornare alle origini e sinistra, come dicono altri? Entrambe le posizioni hanno pro e contro, ma il punto è che il partito non può più permettersi di tergiversare. Vero, le elezioni sono ancora lontane (si torna alle urne nel 2014), ma se i laburisti vogliono arrivare pronti devono dare l’impressione di avere idee chiare, programmi precisi, e azioni che vanno di conseguenza. Oggi tutto questo non c’è, o almeno molti elettori svedesi non lo vedono.