USA2020, l’ultima carta della Corte Suprema

Pubblicato il 8 Novembre 2020 alle 21:21 Autore: Riccardo Ricchetti

This election is not over
Matt Morgan, consigliere generale della campagna di Donald Trump 2020

Sembra assurdo ma la guerra tra Donald Trump e Joe Biden non finirà dopo l’estenuante conteggio dell’elezione presidenziale americana più anomala della storia. Venerdì sera il Tycoon ha dichiarato senza mezzi termini di non riconoscere l’esito del voto, aprendo così un conflitto politico-istituzionale senza precedenti. La situazione non è ancora sotto controllo: i democratici attendono il conteggio negli ultimi Stati, i repubblicani rompono i ranghi e la tensione resta alta da una costa all’altra. Fonti della Casa Bianca raccontano un Trump furioso, pronto a giocare qualunque carta pur di non lasciare lo Studio Ovale. Ma le vie di Trump non sono infinite e l’unica strada che gli si prospetta è lo scontro sul piano giudiziario. Il suo team legale ha già annunciato di essere pronto a dare battaglia a colpi di ricorso e, se necessario, ad arrivare sui banchi della Corte Suprema.

IL POMO DELLA DISCORDIA: IL VOTO POSTALE

Una delle ragioni che spingono Trump a definire “illegal” milioni di voti è la modalità con la quale sono stati espressi: il voto postale. Prima dell’Election Day avevano votato quasi 100 milioni di aventi diritto. Tra gli early voters oltre 63 milioni hanno preferito il voto per corrispondenza, fortemente voluto dai Democratici per evitare il rischio di assembramenti, ma osteggiato dai Repubblicani per paura che potesse sfavorirli nella corsa alla Casa Bianca.

Va precisato che il “mail-in ballot” non è una novità per gli Stati Uniti. In 34 Stati su 50, infatti, il voto per posta era già previsto come “absentee ballot”, una possibilità per coloro che non si trovano nella città di residenza il giorno delle elezioni, la quale prevede l’invio della scheda elettorale all’avente diritto senza bisogno di fornire particolari giustificazioni. Nei 16 Stati rimanenti è presente un simile metodo elettorale riservato, però, alle categorie fragili della popolazione.

Allora qual è il motivo per cui Trump si scaglia contro questa prassi? Il Grand Old Party non critica in sé il voto postale, ma la scelta adottata da alcuni Stati federati di accettare le schede arrivate per posta dopo il giorno del voto, purché spedite entro il 3 novembre. Nello specifico, parliamo di ben 20 Stati, tra cui il Nevada (entro il 10 novembre), il North Carolina (entro il 12 novembre) e la Pennsylvania (entro il 6 novembre). Il mese scorso, la questione era già stata portata davanti alle Alte Corti degli Stati coinvolti, ottenendo da parte loro la conferma delle leggi elettorali in vigore. Non contenti, i Repubblicani avevano tentato di appellarsi alla Corte Suprema Federale per sospendere le sentenze di Pennsylvania e North Carolina, ma la partita è finita in un clamoroso 4-4 con il presidente Roberts, di nomina repubblicana, schierato con i “giudici democratici”.

Nell’occasione, il giudice Alito, affiancato dai colleghi Thomas e Gorsuch, non ha di certo taciuto, spingendosi irritualmente a criticare la Corte stessa e accusandola di aver “creato inutilmente condizioni che potrebbero portare a gravi problemi postelettorali“.
Sarebbe altamente auspicabile emettere una sentenza sulla costituzionalità della decisione della Corte Suprema dello Stato prima delle elezioni – ha continuato Alito – questa domanda ha importanza nazionale, ed è molto probabile che la decisione della Corte Suprema dello Stato violi la Costituzione Federale“.

STOP THE COUNT! & RECOUNT!

Trump intende lanciare un’offensiva anche su altri fronti. È da mercoledì che il candidato del GOP sta puntando il dito sullo scrutinio, insinuando la presenza di brogli tenuti all’oscuro dagli osservatori nei seggi. “Vinco facilmente la presidenza degli Stati Uniti con i voti legittimamente espressi. Agli osservatori non è stato consentito, in alcun modo o forma, di svolgere il proprio lavoro e quindi i voti accettati durante questo periodo devono essere considerati voti illegali. – ha tuonato Trump dalla sala stampa della Casa Bianca La Corte Suprema degli Stati Uniti dovrebbe decidere!“.

Donald Trump durante il discorso tenuto nella Sala Stampa della Casa Bianca il 5 novembre 2020

Non c’è dubbio: The Donald vuole vedere annullati i voti postali “sottratti al controllo degli osservatori”, ma per il momento sta ricevendo soltanto porte in faccia. Ha perso la causa con cui chiedeva, nello Stato del Michigan, di fermare gli scrutini a causa dei brogli. E lo stesso in Pennsylvania dove il procuratore generale Josh Shapiro ha detto: “La campagna elettorale è finita, i voti sono stati espressi ed ora è il momento di contarli e rispettare la volontà degli elettori. Non consentirò a nessuno di fermare il processo di conteggio. Si tratta di voti legali e saranno contati”. In Georgia la richiesta di annullare alcuni voti giunti per posta è stata respinta, ma il governatore ha già annunciato che si procederà con il riconteggio delle schede“. In Georgia la richiesta di annullare alcuni voti giunti per posta è stata respinta, ma il governatore ha già annunciato che si procederà con il riconteggio delle schede.

Lo staff legale guidato dall’ex procuratrice della Florida Pam Bondi, affiancata dall’ex sindaco di New York Rudolph Giuliani e da Eric Trump, non si dà pace e ha già chiesto il riconteggio dei voti in Michigan, Georgia e Wisconsin. Quasi sicuramente la richiesta verrà estesa anche a tutti gli altri Stati in bilico (Pennsylvania, Arizona e Nevada), dove le regole elettorali obbligano i singoli governatori a procedere se lo scarto tra i due candidati è davvero esiguo. In Pennsylvania, ad esempio, il margine richiesto deve essere inferiore allo 0,5% dei voti, in Arizona all’1%, mentre
in Nevada non ci sono particolari limiti.

LA CORTE SUPREMA

Tutte queste strade portano a Washington, al palazzo della Corte Suprema, ma il percorso risulta molto tortuoso e pieno di insidie. Gli avvocati di Trump saranno costretti a muoversi nella giungla dei sistemi giudiziari dei singoli Stati e, se tutto va bene, sperare che i giudici federali prestino loro ascolto.

L’argomento della cospirazione ai danni del presidente uscente e dei brogli elettorali può trovare fondamento solo in presenza di prove chiare e certe. In quel caso la discussione dovrebbe, però, passare prima dai tribunali degli Stati, i soli che possono consentire a Trump di ricorrere eventualmente fino alle rispettive Corti Supreme. A quel punto se le Corti Supreme dovessero mettere i bastoni tra le ruote, Trump e i suoi legali potrebbero appellarsi alla Corte Suprema Federale. Tuttavia il passaggio non è automatico, visto che la Corte può decidere di rigettare le richieste qualora le ritenga infondate.

Insomma, lo scenario non sarebbe quello dell’elezione presidenziale del 2000, quando la Corte Suprema risolse la disputa dei voti in Florida e assegnò la vittoria al repubblicano George W. Bush contro Al Gore. Allora eravamo di fronte ad una controversia nell’ordine delle migliaia di voti, mentre oggi si parla di annullarne milioni e milioni.

Sebbene ci siano stati innumerevoli casi elettorali depositati in tutta la nazione, non è chiaro quale di loro potrebbe arrivare in tribunale nei prossimi giorni. Qualcosa, però, si è già mosso. Il giudice Samuel Alito ha, difatti, ordinato allo Stato della Pennsylvania di separare tutti i voti arrivati dopo l’Election Day, in attesa che la Corte Suprema si esprima sulla loro legittimità. Alito e i giudici conservatori non intendono, dunque, mollare il colpo e potrebbero intercedere per ribaltare il risultato dello scorso 17 ottobre, forti della recente nomina di Amy Coney Barrett.

Il giudice della Corte Suprema Samuel Alito

Gli equilibri interni alla Corte sono chiari. Da un lato Clarence Thomas, Samuel Alito, Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett potrebbero tentare di impedire l’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca. Dall’altro lato, i membri dell’ala liberale favorevoli al neopresidente sono rimasti in tre dopo la scomparsa di Ruth Bader Ginsburg: Stephen Breyer, Sonia Sotomayor ed Elena Kagan. Tra le due compagini, il giudice capo John Roberts, pur essendo arrivato a Washington grazie ad un presidente repubblicano, ha mostrato in passato posizioni anti-Trump e si esprimerebbe a favore della validità del voto. E proprio questo fatto dimostra l’autonomia di giudizio dei togati e, di conseguenza, la loro imprevedibilità.

Infine, va valutato l’impatto sull’opinione pubblica americana di una decisione a favore dell’uno o dell’altro candidato. Se la Corte Suprema venisse trascinata nel duello tra Joe Biden e Donald Trump, ciò potrebbe minare la solidità della democrazia costituzionale e la credibilità della Corte stessa. Dopo questa tornata elettorale, il Paese appare più diviso che mai e, pertanto, ogni intervento della Corte sarebbe oggetto di forti accuse di faziosità.

Non è chiaro che cosa accadrà. Ciò che è certo è la scarsità di tempo a disposizione. Se Donald Trump vuole davvero intraprendere le vie legali deve sbrigarsi. Il termine ultimo per un’eventuale decisione della Corte Suprema è molto vicino: il 14 dicembre. Entro tale data, deve essere terminato il conteggio di tutti i voti postali, i conflitti in merito al conteggio devono essere già passato al vaglio delle Corti Supreme statali e l’esame della controversia deve essere già arrivato ai giudici federali.

Donald Trump non riconosce la vittoria dello sfidante e minaccia di portare il Paese in un conflitto dall’esito incerto. Riuscirà davvero ad arrivare di fronte ai togati di Washington? Salveranno il presidente uscente o ratificheranno la nomina di Joe Biden a 46° Presidente degli Stati Uniti d’America?