Wto, primo accordo sulla liberalizzazione degli scambi commerciali. Un sabato storico per il WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio). A Bali, capitale dell’Indonesia, è stato approvato, dai 159 paesi che lo compongono, il primo accordo di riforma del commercio mondiale nei quasi 20 anni di esistenza dell’organizzazione.
L’obiettivo è di abbattere le numerose barriere contro le quali si scontra il libero scambio delle merci: niente di troppo ambizioso, ha dichiarato il brasiliano Roberto Azevedo, direttore generale del WTO, “il giusto indispensabile per continuare il processo multilaterale e mantenere il ruolo dell’organizzazione del commercio”.
Dal 2001 si sta discutendo della possibilità di accordarsi su una liberalizzazione profonda degli scambi commerciali, il cosiddetto “Doha Round”, ma non si era mai raggiunta un’intesa e, in molti, davano le trattative ormai per morte.
Per tenere accesa la candela del libero scambio è stata proposta, allora, una versione “light” del “Doha Round” in nome di una “trades facilitization” che prevede misure volte a eliminare alcuni ostacoli doganali, che rendono il commercio più costoso, e alcune lungaggini burocratiche che alcuni paesi utilizzano per impedire l’ingresso di merci straniere: secondo gli esperti del WTO, l’accordo potrebbe creare 34 milioni di posti di lavoro, oltre ad accrescere gli scambi mondiali di 1000 miliardi di dollari.
L’accordo stava per saltare ancora una volta. Prima per l’iniziativa di Cuba e di altri paesi sudamericani che chiedevano agli Stati Uniti di ritirare l’embargo nei confronti dell’isola che dura ormai da 50 anni, Usa e Cuba stessa hanno poi raggiunto un accordo, in seguito è stata l’India a bloccare temporaneamente la firma dell’accordo.
L’India acquista grandi quantità di grano dai suoi agricoltori, che poi distribuisce come sussidio alle fasce deboli della popolazione – soprattutto nei periodi elettorali, quindi mancando un anno alle elezioni, il tema è molto sentito a Nuova Dehli e l’attenzione dell’opinione pubblica è alta – il grande paese asiatico ha quindi chiesto che si consentisse la perenne accumulazione di scorte agricole da distribuire in forma sussidiata ai poveri.
L’India, isolata da Brasile, Cina, Russia e pressata da molti “paesi in via di sviluppo” ha dovuto, infine, cedere e confermare la propria adesione. Il WTO ha allora concesso un’esenzione di 4 anni dell’India, e dei paesi in via di sviluppo, che gli consente di sussidiare l’acquisto di materie prime alimentari.
Non si sono viste scene di protesta in stile “Seattle”, ma la protesta nei confronti della “globalizzazione”, rappresentata per eccellenza proprio dal WTO, e l’opposizione al nuovo accordo sono state comunque forti e precise.
“Un nuovo modo per i paesi più ricchi e forti di imporsi su quelli più poveri e deboli” questa, in pratica, la critica di Ong e movimenti: l’accordo andrebbe a colpire ancora di più quei paesi la cui economia si basa proprio su misure protezionistiche e sulla soddisfazione della domanda interna con prodotti del posto.
Inoltre in molti si chiedono in quali tasche finiranno i molti miliardi di dollari prodotti dalle nuove politiche e soprattutto quali saranno le condizioni e i diritti dei lavoratori che troveranno un’occupazione proprio in virtù del primo accordo multilaterale mondiale.