Nelle ultime settimane si sono fatte, giorno dopo giorno, più insistenti le voci secondo le quali il Ministero dei Beni e delle attività culturali sarebbe prossimo al varo di un nuovo decreto volto ad “aggiornare” criteri e coefficienti per la determinazione del c.d. equo compenso da copia privata.
Si tratta, vale la pena ricordarlo, del compenso – che, appunto, dovrebbe essere equo – che la Legge sul Diritto d’autore stabilisce sia versato da produttori e importatori di dispositivi destinati a poter essere usati anche per fare copie, a fini esclusivamente personali, di opere coperte da diritto d’autore.
E’ quello, per capirsi, che in modo più o meno trasparente, paghiamo ogni volta che acquistiamo uno spartphone, un hard disk, una qualsiasi memoria digitale, un personal computer, un cd, un dvd o qualsiasi altro dispositivo o supporto capace di ospitare un contenuto digitale.
E’ un balzello – anche se con una nobile giustificazione di principio – ma non chiamatelo “tassa” perché urtereste la suscettibilità di qualcuno.
A metà novembre, a rompere gli indugi ed a chiedere, a gran voce [n.d.r. innegabile che la sua lo sia!] al Ministro Bray di aggiornare la vigente disciplina, era stato il Presidente della SIAE, Gino Paoli il quale aveva avvertito l’esigenza di ricordare pubblicamente al Ministro come in Italia, allo stato, il “raccolto” da copia privata sia inferiore ad una non meglio precisata media europea.
Il Ministro, a quanto pare, non se l’è fatto ripetere due volte e sebbene il suo Dicastero, in quasi tre anni, non sia stato capace di promuovere l’istituzione del tavolo tecnico al quale la vigente disciplina affida l’aggiornamento dei compensi da copia privata, ha avviato, in tutta fretta, un processo decisamente riservato di revisione del decreto del quale, pochi eletti, disporrebbero già di una bozza.
Difficile capire quali siano state le motivazioni che hanno spinto il Ministro Bray a scegliere la strada della “trattativa riservata” per il varo del nuovo Decreto anziché quella dell’istituzione del tavolo tecnico aperto a tutte le parti interessate previsto dalla disciplina vigente o, meglio ancora, quella di una consultazione pubblica ampia ed approfondita.
E’ un fatto grave che – quale che sarà il contenuto del provvedimento – proietta un inquietante cono d’ombra sull’attività del Ministero dei beni e delle attività culturali soprattutto considerato che il provvedimento vale diverse decine di milioni di euro che sono destinate ad essere dragate dal mercato dell’elettronica di consumo e, naturalmente, dalle tasche dei consumatori e trasferite forzatamente in quelle della SIAE perché li distribuisca – dopo essersi trattenuta un lauto compenso [n.d.r. che nel bilancio si chiama “rimborso spese”] da oltre 4 milioni di euro – ai titolari dei diritti secondo gli aleatori ed ambigui criteri purtroppo stabiliti nella disciplina vigente.
Ma non basta.
La scelta di lavorare al decreto attorno ad un piccolo tavolo, sembra abbia finito – come doveva essere previsto – con il consentire ai pochi privilegiati, SIAE in testa, di “dettarne”, di fatto, i contenuti con buona pace degli interessi degli altri soggetti – che sono poi quelli destinati a pagare il c.d. equo compenso – portatori di interessi diversi.
Basterà dire che, secondo i bene informati, il nuovo decreto consentirà di far affluire nelle tasche della SIAE un importo pari ad oltre il doppio di quello che vi affluisce in applicazione della disciplina vigente e che ammonta, ad oggi, a circa 80 milioni di euro.
La SIAE chiede ed il Ministro obbedisce.
Smartphones, pc, memorie e, forse persino i servizi di cloud computing da gennaio, costeranno di più.
Secondo SIAE – e, dunque, secondo il Ministero – si tratterebbe di una irrinunciabile esigenza per adeguarci alle medie europee e garantire agli autori un’adeguata remunerazione a fronte dei milioni di copie private di musica e film realizzate dai consumatori.
E’ un errore o, peggio, è una mistificazione della realtà.
Il problema non è rifiutarsi di riconoscere agli autori ciò che loro compete né voler lasciare ingrassare l’industria dell’elettronica di consumo ed impoverire quella degli autori.
E’ solo una questione di equilibrio ed equità.
E non c’è né equilibrio, né equità quando si chiede ad un consumatore di pagare due volte per fruire di un contenuto attraverso uno smartphone: una volta quando acquista il dispositivo, versando, appunto, l’equo compenso da copia privata e, un’altra volta, quando, acquista il contenuto in una delle piattaforme di distribuzione collegate al suo smartphone concludendo un contratto di licenza attraverso il quale acquista, tra l’altro, proprio il diritto a riprodurre il contenuto in questione su uno o più dispositivi.
Egualmente equità ed equilibrio restano latitanti quando si pretende che si debba pagare un equo compenso per dispositivi o supporti che non saranno mai destinati all’utilizzo per copia privata perché acquistati da una società o da un professionista nell’ambito della propria attività commerciale.
E non si venga a dire che gli sfortunati produttori ed importatori di tali supporti e dispositivi avranno comunque diritto a vedersi rimborsare quanto versato se e quando proveranno – secondo le regole e le procedure stabilite dalla SIAE – che ricorrono le condizioni previste dalla legge per il rimborso.
Nell’uno e nell’altro caso è urgente, importante, imprescindibile che il Ministro Bray trovi la forza di dire “no” alla SIAE ed a quanti, a torto, raccontano che la sopravvivenza degli autori imporrebbe anche questo genere di iniquità e sperequazioni.
Caro Ministro, come si sta scoprendo in tutta Europa, l’epoca dei compensi forfettizzati e all’ingrosso è finita.
Le nuove tecnologie abilitano gli autori ed i titolari dei diritti ad incassare meglio e di più attraverso semplici contratti di licenza da chi usa davvero le loro opere.
Nell’attuale contesto c’è una sola categoria di soggetti che guadagna davvero da un innalzamento del c.d. equo compenso: è quella degli intermediari che lo raccolgono e lo distribuiscono traendone grossi profitti attraverso i c.d. rimborsi spese.
Se ha a cuore davvero il futuro della cultura e della creatività nel nostro Paese, non dia ascolto solo a pochi ma apra a tutti un tavolo – come peraltro previsto dalla disciplina vigente – attorno al quale discutere di una nuova soluzione di equilibrio degna di questo nome.