Mandela, morire al tempo di Facebook

Pubblicato il 9 Dicembre 2013 alle 19:53 Autore: Matteo Patané

La morte di Nelson Mandela è uno di quegli eventi il cui indiscutibile significato simbolico è trasversale a culture e opinioni politiche per arrivare a valenze così universali e condivise da rendere pressoché obbligatorio un intervento di testimonianza. Madiba, il padre del Sudafrica moderno, così come negli ultimi giorni i telegiornali lo hanno più volte acclamato, è una di quelle rare figure che, pur appartenendo ad un preciso popolo e ad un preciso momento storico, diventano in qualche modo patrimonio collettivo dell’umanità. Nella storia recente, solo Gandhi, come valenza e somiglianza filosofica, può essere paragonato a lui.

La sua morte è peraltro il primo evento di una simile portata mediatico-simbolica ad avvenire nell’era dei social network, e a confrontarsi con le tecniche contemporanee di accettazione, elaborazione e perché no anche emulazione. L’evento creato dalla scomparsa di Madiba, proprio per l’universalità del personaggio, obbliga tutti a riflettere  e da lì costringe giocoforza a pensare al perché nel mondo c’è stato bisogno di un personaggio come lui. Obbliga, in sostanza, a prendere posizione, ad esprimerla; come si diceva poco sopra, a testimoniare.

Si tratta di un’esigenza nota e comune nella storia dell’umanità, un’esigenza che le moderne tecnologie contribuiscono a rendere più universale e aiutano ad espletare, attraverso la pervasività che le contraddistingue. Dal momento della morte di Mandela i social network letteralmente ribollono di commiati, addii, ricordi fatti da comuni cittadini che esprimono il proprio cordoglio. Una – per l’appunto – testimonianza di portata planetaria che per una volta non è limitata ai potenti del mondo o a coloro che sono geograficamente e storicamente più vicini all’epicentro dell’evento, ma che grazie alle moderne tecnologie coinvolge in maniera globalizzata e altrettanto profonda il mondo intero.

Se tuttavia da un lato i social network costituiscono un formidabile amplificatore, grazie alla possibilità che offrono a chiunque di esprimere liberamente il proprio pensiero, dall’altro costituiscono una sorta di pericolosa valvola di scarico, in cui queste azioni di testimonianza si esauriscono in un modo tutto sommato sterile e poco produttivo. Già da tempo Facebook, per fare un esempio, non costituisce più un social media paritario, in cui tutti gli utenti sono egualmente produttori di contenuti; per meglio dire, mantiene ancora formalmente questa struttura ma la divisione tra produttori e fruitori di contenuti è ormai piuttosto evidente, con una serie di hub qualificati che fungono da fonti e i cui contenuti vengono poi progressivamente ripresi e condivisi dal resto del web.

Mandela

Spesso, quindi, la resa di testimonianza nei confronti di un evento non costituisce nemmeno più uno sforzo creativo, ma implica solo la ripresa e la condivisione di un meme prodotto da altri; l’omaggio si trasforma quindi in un mero “atto dovuto”, un gesto obbligato perché sarebbe socialmente poco conveniente fare altrimenti e in cui, come sempre in questi casi, si sceglie tra una serie di prodotti preconfezionati da altri.

Al contempo, la semplice pubblicazione di una parola o di un’immagine ha una funzione in qualche modo catartica, assolve chi la esegue dalla necessità di trovare altre forme, probabilmente più impegnative e proficue, di rendere omaggio in caso di eventi come quello avvenuto pochi giorni fa, generando una sensazione di autocompiacimento a lungo andare negativa, in quanto in grado di fermare sul nascere sforzi intellettuali di approfondimento, presa ad esempio, riflessione originale.

Se portare dentro il peso di venire a patti con la dipartita di un personaggio di impatto planetario poteva in qualche modo servire a portare milioni di persone a farsi delle domande, e magari nel caso di qualche manciata ad un reale impegno civile, politico e sociale, la semplice pressione del tasto INVIO sulla tastiera di un computer o di uno smartphone consente di esternalizzare in maniera rapida e indolore qualsiasi tentativo di elaborazione interiore, stroncandola sul nascere e annegandola nella banalità di una frase preconfezionata.

Laddove i social media sono nati proprio per favorire il contatto e l’interazione, nella speranza che da queste sinapsi virtuali scaturissero connessioni e idee, la loro trasformazione in semplici mezzi di diffusione di contenuti anziché di creazioni li sta trasformando in un ennesimo – ma di una pervasività senza precedenti – strumento di controllo dell’opinione e mantenimento dello status quo. Mandela non ne sarebbe contento.

L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
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