Renzi il giorno dopo il trionfo alle primarie Pd: analisi sui dati e qualche (cauta) previsione
Che nel Pd da oggi si cambi verso davvero, per dirla con lo slogan del suo nuovo segretario, Matteo Renzi? Chiederselo è d’obbligo, e non solo perché nel banner del sito ora c’è proprio il viso del sindaco di Firenze con la grafica e la frase che l’hanno accompagnato in tutto il suo percorso verso la poltrona più importante del partito.
Innanzitutto si può finalmente parlare di numeri: non sono ancora definitivi, ma hanno già parecchio da dire, anche se magari non in modo sempre chiaro. Il dato più semplice da leggere è quello delle percentuali: che Renzi abbia stravinto è fuori di dubbio. Che tra Gianni Cuperlo e Pippo Civati ci sarebbero stati meno di quattro punti era tutto meno che ovvio.
Due terzi del partito sono con il sindaco di Firenze, il resto si divide quasi equamente tra gli altri due sfidanti. Ma se la prevalenza (leggera) è per Cuperlo, quel lieve vantaggio rischia di scomparire del tutto da qui in avanti. Perché, è vero, Civati nelle settimane scorse ha debitamente punzecchiato l’area di Renzi per la questione delle tessere e per altre questioni, ma gli elettori di Pippo e Matteo sono molto più simili tra loro di quanto possano esserlo i due personaggi che li rappresentano, per cui sarà senz’altro più facile trovare una base di dialogo. Mentre chi ha votato Cuperlo sembra faticare molto di più a trovare punti di contatto e mediazione.
Sempre restando in ambito numerico, è bene abbandonare le percentuali per fare una considerazione sui voti assoluti. Matteo Renzi, a conti fatti, quando mancano ancora i dati di 1200 sezioni circa, porta a casa la bellezza di oltre 1,6 milioni di voti. Sono almeno 500mila in più rispetto al ballottaggio dell’anno scorso, quando però le primarie erano di coalizione e servivano a indicare la guida di “Italia. Bene comune”.
In una consultazione che riguardava solo il suo partito, Renzi è arrivato vicino alla quota di voti che nel 2012 aveva ottenuto Bersani al secondo turno, potendo contare anche sull’appoggio di chi al primo giro aveva votato per Nichi Vendola (ma anche per Tabacci e Puppato). Certo, non è impossibile che una parte anche consistente dei voti ricevuti ieri sia arrivata da persone che poi alle elezioni politiche (quelle che contano) non votano Pd, occorre prudenza nel maneggiare i numeri, ma certamente un’affermazione simile non si era mai vista, né forse era immaginabile.
Ottenuta questa maggioranza, sarà interessante vedere cosa se ne farà Matteo Renzi. A partire dalle prossime ore, quando presenterà i dodici componenti della sua segreteria. In molti attendono al varco il neosegretario, pronti a passare quei nomi ai raggi X per scoprire se spunteranno persone di strettissima fiducia del sindaco di Firenze o, peggio, legate alle aree di Veltroni e Franceschini. Col “sospetto” dunque che non li abbia portati la cicogna del merito. Se ci saranno nomi di questo tipo, le critiche si sprecheranno; diversamente, sarà un altro punto a favore di Renzi.
Da ultimo, è lecito chiedersi cosa accadrà al governo di Enrico Letta, non esattamente in sintonia con il Renzi-pensiero. Gli unici punti fermi al momento sono due: da un lato, è inevitabile che Renzi e Letta si incontrino e si parlino con franchezza, con il governo che dovrebbe essere meno disposto a sacrificare i temi cari al Pd per evitare crisi (perché potrebbero essere i democratici a minacciarla); dall’altro, un esponente di primo piano del Nuovo centrodestra come Maurizio Lupi ha già detto che Renzi deve scordarsi di dettare da solo l’agenda dell’esecutivo.
Nel suo discorso post-vittoria di ieri, Matteo Renzi ha snocciolato le sue priorità: legge elettorale del “sindaco d’Italia” o comunque maggioritaria, taglio ai costi della politica, abolizione del Senato. E, naturalmente, basta inciuci. Il primo punto è assolutamente necessario, dopo la sentenza della Corte costituzionale; il secondo e il terzo dovrebbero essere portati avanti da subito per poter concludere il prima possibile il loro iter e poi, magari, tornare al voto. Perché per mandare in soffitta gli inciuci – non c’è dubbio – bisogna votare di nuovo.
In quanto tempo questo possa accadere, ora è proprio impossibile dirlo. Anche perché Renzi ha detto alcune volte che se il governo fa le cose che servono, non c’è motivo di mandarlo a casa (ma potrebbe pensarci Alfano, se si andasse oltre il 2014). Per ora, la cosa più opportuna è aspettare. E non si rischia di appisolarsi nell’attesa: lui può piacere o no, ma Renzi non consentirà a nessuno (probabilmente nemmeno ai suoi) di dormire sonni tranquilli.