Gli USA mostrano un rafforzamento della ripresa.
L’Europa, invece, arranca ancora. Alla fine le parole del presidente della Federal Reserve Ben Bernanke e dei colleghi del FOMC sembrano aver convinto i mercati: gli Stati Uniti si stanno riprendendo ed è ora di ridurre la droga monetaria che attualmente viene iniettata nei mercati al ritmo di 85 miliardi di dollari al mese. Magari non a dicembre, ma comunque relativamente presto.
Senza voler credere che una rondine faccia primavera, la reazione delle borse al report sul mercato del lavoro, risultato migliore delle attese, non è stata, come accaduto negli ultimi anni, negativa, bensì positiva: gli investitori sembrano cominciare a convincersi che le cose stanno effettivamente migliorando e che la Fed è fortemente intenzionata a togliere gradualmente le stampelle alla ripresa, man mano che il mercato del lavoro ricomincerà a riprendersi, come sembra.
Sembra quindi essere giunta l’ora che per i mercati una buona notizia torni ad essere una buona notizia.
Discorso diverso per la Banca Centrale Europea: tassi invariati rispetto alle attese e miglioramento dell’outlook economico non convincono pienamente, e l’ennesimo statement di Draghi uguale a quello dei mesi passati non sembra rassicurare del tutto. Sembra dimostrarlo il cambio euro-dollaro che, nonostante i dati portino a pensare a un rafforzamento del biglietto verde, continua invece a mostrare forza a favore della moneta unica.
Di recente lo staff della BCE ha tentato di diffondere ottimismo, ma i dati, pur mostrando una stabilizzazione delle economie europee (come nel 2009-2010?), fanno credere che non tutto sia risolto e che anzi agli attuali stressed countries possano aggiungersene altri, come Francia e Paesi Bassi, mentre Paesi come l’Italia continueranno ad essere gli elefanti nella cristalleria europea per via dell’instabilità politica e la cronica incrostazione dell’economia.
La BCE, dicono gli insider, è pronta (o almeno proverà) a muoversi in qualunque modo non esplicitamente vietato dai trattati, ma deve farlo anche la politica europea. Non una buona notizia se si pensa che l’attuale “generazione dirigente” europea, anche a causa di pressioni nazionaliste ed euroscettiche, che trovano facile consenso nel dare la colpa a Bruxelles invece che a questioni squisitamente nazionali, è probabilmente la peggiore da decenni, e deve sforzarsi di far funzionare un sogno (l’euro) che è stato concepito da quelle precedenti.
L’agenda per la settimana entrante è piuttosto scarna per via della vicinanza delle festività natalizie. Cominciando da martedì l’agenda macroeconomica prevede la produzione industriale italiana che dovrebbe registrare un aumento dello 0,2 per cento su base mensile, ma soprattutto il prodotto interno lordo che dovrebbe confermare il suo calo dello 0,1 per cento su base trimestrale e del 1,9 per cento su base annua.
Mercoledì andranno in asta Bot italiani a tre mesi e a dodici mesi e inoltre gli Schatz tedeschi a due anni. Giovedì verrà reso noto l’indice dei prezzi al consumo italiani che dovrebbero confermare le debolezze già viste nei report precedenti con un calo dello 0,4 per cento su base mensile e’ una crescita su base annua di appena lo 0,6 per cento. Conosceremo poi la produzione industriale italiana nell’Eurozona che dovrebbe tornare a crescere su base mensile dello 0,3 per cento. Dall’altro lato della l’antico oltre alle nuove richieste di sussidi di disoccupazione e dovrebbero tornare sopra quota 300 mila secondo il consensus verranno rese note anche le vendite al dettaglio che su base mensile dovrebbero essere accelerate lievemente allo 0,6 per cento.