Quel paradosso minoritario della sinistra “alla Cuperlo”
Quel paradosso minoritario della sinistra “alla Cuperlo”
C’è un aspetto interessante nel leggere i dati di queste elezioni primarie del 2013. Un aspetto che lega in maniera indissolubile la candidatura di Gianni Cuperlo a quella di Pierluigi Bersani. E che mostra in maniera netta una mutazione genetica di parte della sinistra italiana, soprattutto per quanto riguarda il suo gruppo dirigente.
Già l’anno scorso segnalammo quando la candidatura di Bersani fosse, per quanto egli stesso si rifacesse alla tradizione Pci-Pds-Ds, una candidatura anomala. A partire dalla mappa dei voti delle primarie di coalizione 2012. Dove Bersani vinse nettamente perlopiù in regioni che, nel corso della Prima Repubblica, qualche politologo avrebbe definito “a subcultura bianca” (Sicilia, Campania, Calabria, Basilicata). Mentre per paradosso Renzi riduceva i margini nell’arco appenninico e sanciva la sua leadership in Toscana.
Il voto del 2013 e i risultati di Cuperlo, nettamente sotto il 20% a livello nazionale, ci mostrano un quadro per certi versi ancora più interessante: in tutta la “galassia del nord” Cuperlo si piazza terzo e possiamo ben dire che se non avesse votato tutto il sud oggi si parlerebbe di Giuseppe Civati secondo classificato. I risultati migliori per Cuperlo sono la Calabria e altre regioni del sud, una riproposizione dunque in sedicesimi delle stesse dinamiche bersaniane delle scorse primarie.
Ma c’è un elemento aggravante che ha ulteriormente danneggiato Cuperlo, ed è rappresentato dal voto delle città. Un caso emblematico è Roma: Cuperlo in questa città si era piazzato in testa, con oltre il 50% dei consensi, nel voto dei circoli. Ma al momento delle primarie è scivolato al terzo posto. Nelle città è tradizionalmente forte il voto d’opinione e proprio a Roma Civati ha praticamente raddoppiato la sua forza elettorale.
Questi piccoli aspetti, riproponibili in altre aree urbane, evidenziano come col tempo Cuperlo, più che dotato in una propria soggettività politica, è apparso molto spesso come un candidato di “cartello”. Una candidatura in grado di rappresentare solo determinate istanze e precisi interessi consolidati. In questo modo Cuperlo, a differenza di Bersani, ha sì vinto al sud ma non è riuscito ad ottenere quei consensi cittadini tipici del voto d’opinione.
In questo modo il cartello cuperliano, che senz’altro rappresenta un certo tipo di sinistra, ha dimostrato di aver subito una vera e propria rivoluzione, improntata da un approccio forse eccessivamente elitario, d’antan e comunque in grado solo di rappresentare delle residuali istanze. Tanto che lo stesso Cuperlo, nel suo discorso di sconfitta al Tempio di Adriano, sembrava limitatamente provato. Forse consapevole che non si trattava di una sua sconfitta personale, ma di una disfatta di quella sinistra che pur in nome del legame originario ha di fatto assunto caratteristiche del tutto opposte. Proprio perché non popolare, proprio perché portatrice di un piccolo messaggio specifico e non degli interessi delle masse.