Forconi, testimonianza diretta dalla provincia di Torino. Sono le ore 20.50 quando sento parlare di persone organizzate che stanno paralizzando un punto nevralgico del traffico cittadino. Salgo immediatamente in macchina e mi dirigo verso il luogo dove è sorto un presidio spontaneo del cosiddetto Movimento dei Forconi.
Le notizie che hanno preceduto questo 9 dicembre sono state contrastanti quanto eterogenee. La prima domanda del cittadino comune riguarda la natura stessa del movimento. Quali movimenti politici danno vita al movimento dei forconi? Spesso è stata tirata in ballo l’estrema destra insieme ai manifestanti NO TAV e parecchie altre sigle estremiste. Subito sono arrivate le smentite da parte dei movimenti collegati alla sinistra extraparlamentare mentre Forza Nuova e movimenti dell’orbita dell’estrema destra hanno dichiarato di voler partecipare alla protesta. Durante la vigilia sono inoltre rimbalzate notizie di minacce subite dai negozianti con l’intenzione di mantenere aperti gli esercizi commerciali il 9 dicembre.
Proprio queste notizie hanno fatto subodorare un sentimento neofascista latente ed hanno indotto molte persone a disertare la protesta. Gli organizzatori, nel frattempo, tramite i principali social network, hanno caldamente invitato i manifestanti a non essere violenti ed evitare qualsiasi forma di scontro con le forze dell’ordine.
Cosa sia successo nelle principali città italiane, in particolar modo a Torino, è stato ben documentato. Manifestanti intenzionati a creare disagi agli autotrasportatori da un lato, facinorosi e “sassaioli” dall’altro mentre la realtà della provincia non è stata descritta da nessuno. Ed è con questa curiosità che mi avvicino al principale snodo stradale della mia cittadina.
Come è sempre successo, nelle periferie le novità arrivano con un po’ di ritardo ed il mio paese, distante circa 30 km da Torino, non fa eccezione. Cittadina di trentamila abitanti, caratterizzata dal tipico modo di vivere piemontese ben descritto dalla frase “Bogia Nen” (letteralmente: “Non ti muovere”). Questa brevissima frase, proferita per la prima volta dal conte di Bricherasio nel 1747, descrive il temperamento dei piemontesi caratterizzato da una spiccata testardaggine e da una forte risolutezza.
Sulla rotonda che collega il casello autostradale al centro cittadino entro in contatto con il primo gruppo di manifestanti alle prese con un camionista spazientito che cercava di convincere il gruppetto a lasciarlo passare. La prima cosa che chiedo è se esiste una sorta di coordinatore. Mi risponde un ragazzo di cerca vent’anni: “Non c’è un responsabile, noi ci siamo trovati un’ora fa ed abbiamo iniziato a bloccare i camion, siamo divisi in tre gruppi lungo tutta la via – la via in questione è quella che porta a Torino, la più trafficata di tutta la città – staremo qua tutta la notte e domani bloccheremo anche il casello autostradale e forse anche la stazione ferroviaria.”
Ad un altro manifestante chiedo se questi disagi siano tollerabili: alla fine chi ci rimette sono i pendolari e chi usa l’automobile per recarsi al lavoro, la risposta è stata: “Cosa vuol dire? anche io ho lavorato fino alle sette di sera eppure sono qua perché così non si può continuare! Tutti dobbiamo spendere tempo ed energie per migliorare la situazione. Se tutti sacrificassero una piccola parte della giornata, in tre giorni cambieremmo le cose!”
Chi sono questi manifestanti? Dai volti capisco che, in media, hanno una trentina d’anni e, sentendoli parlare, deduco una livello medio di istruzione. Non sono collocabili politicamente: c’è di tutto (estremismi di destra e di sinistra) e, fra loro, scorgo alcuni ragazzetti di circa dodici anni, i primi a piazzarsi davanti al camion che cercano di ripartire.
Non ci sono cori da stadio, non ci sono sassi o bottiglie per aria. Ci sono i carabinieri, ne ho contanti una decina, con un atteggiamento fra la compassione e lo sbeffeggiamento. I manifestanti della mia cittadina sono pochi, un centinaio in tutto, non hanno intenzione di attaccare le forze dell’ordine e l’aria che trafigge la nebbia che sale odora di sfinimento, solidarietà e fermezza.
Ogni TIR che arriva viene bloccato senza pensare alle possibili opinioni contrastanti dell’autotrasportatore al quale viene imposto di spegnere il motore. Ogni volta che un camionista spegne il mezzo e scende in mezzo ai manifestanti scattano, automatici, gli applausi; altri camionisti si rassegnano, spengono il camion e si mettono a dormire. Passata la mezzanotte i manifestanti si sono praticamente dimezzati e molti di loro sono decisi a rimanere tutta la notte nei punti dei presidi mentre altri tornano a casa a riposare promettendo di tornare la mattina.
Le insinuazioni su chi ci fosse dietro a questa protesta sono verosimili. Stasera, in periferia, non ho visto compagni, camerati o amici. Ho visto gente di ogni tipo dire “Mi sono rotto”. Presumibilmente, dietro a tutti i disagi di oggi c’è l’estrema destra, ma i cittadini presenti ai presidi sorti in modo spontaneo, di destra o sinistra, non ne vogliono nemmeno sentir parlare.