La previdenza degli onorevoli

onorevoli

La classe politica italiana non si smentisce, e ancora una volta offre il peggio di sé alla vigilia dei nuovi importanti sacrifici che il Governo Monti chiederà alla popolazione su temi fiscali e previdenziali.
Il famoso trittico tra rigore, crescita ed equità che tanti entusiasmi e speranze del discorso di insediamente del nuovo Presidente del Consiglio, che tante speranze aveva susscitato dopo le dimissioni di Berlusconi, pare – almeno stando alle voci che si stanno diffondendo prima del chiarificatore CdM di lunedì 5 dicembre – infatti essere finito almeno in parte nel dimenticatoio, dal momento che tutte le indiscrezioni sono mirate sui temi del ritorno dell’ICI, della mini-patrimoniale, della rivalutazione delle rendite catastali e soprattutto di una nuova riforma previdenziale.
Molto rigore, un po’ di equità, ma sicuramente per le misure relative allo sviluppo economico sarà necessario attendere – salvo clamorose smentite lunedì prossimo.

[ad]Un punto in particolare desta però speciale attenzione, ed è stato ripreso recentemente anche dai media: secondo la revisione dei regolamenti di Camera e Senato promossa dai rispettivi Presidenti Fini e Schifani, infatti, anche per i parlamentari – massima espressione della cosiddetta “Casta” – scatterà l’adeguamento al sistema contributivo, e soprattutto la data del ricevimento del vitalizio verrà fissata a 60 anni di età per coloro che hanno più di un mandato alle spalle, e 65 per gli eletti attualmente al primo mandato. Questo, naturalmente, se la proposta verrà effettivamente resa esecutiva.
Una situazione molto simile, a quella che il Ministro Fornero disegna per i milioni di contribuenti italiani che non hanno la fortuna di sedere in Parlamento.
Di fatto si verrebbero a delineare tre situazioni differenti tra loro: da un lato gli ex-parlamentari, per i quali resterebbe una situazione invariata; dall’altro invece vi sono i parlamentari in corso, per i quali si applicherebbero le nuove regole, e all’interno di questo calderone si devono distinguere coloro che hanno già maturato gli attuali quattro anni, sei mesi e un giorno e che avrebbero quindi diritto alla pensione con le attuali regole, che vedrebbero negarsi dei “diritti acquisiti”, e dall’altro i parlamentari che non hanno ancora maturato tale anzianità di servizio.

Un mix di situazioni che consentono numerosi appigli contro una norma che sta causando una vera e propria rivolta in Parlamento, con toni e argomenti che raccontano più di mille analisi la distanza siderale tra elettori ed eletti, e che evidenziano la differente importanza che la nostra classe politica assegna ai propri problemi personali e a quelli del Paese.

Una proposta demagogica per indorare la pillola agli italiani che dovranno subire i tagli delle pensioni. [Gianluca Pini, Lega Nord Padania]

 

A me della pensione non frega niente, ma l’operazione deve iniziare dal 1945, perché chi propone i tagli è in Parlamento da decenni. [Massimo Calearo Ciman, Popolo e Territorio]

 

Prima facciano chiarezza sui loro conflitti di interessi, poi ci chiedano i sacrifici.[Alessandra Mussolini, Popolo della Libertà]

 

Siamo furibondi. Fini e Schifani non pensino di fare questa operazione sulla testa delle nuove generazioni. [Francesco Boccia, Partito Democratico]

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Dai miei calcoli saranno 1500 e non più 2500 euro, ma vanno bene anche 900, voglio essere uguale ad un metalmeccanico, ma la Camera ci deve versare i contributi figurativi, capito? [Rolando Nannicini, Partito Democratico]

 

Facciamo una vita da cani … io e mia moglie prendiamo trentamila euro al mese? Le ho già spiegato che se uno investe nella politica quei soldi sono pochi. [Michele Pisacane, Popolo e Territorio]

 

Ridurre deputati e senatori alla fame vuol dire rendere il Parlamento schiavo dei poteri forti. [Mario Pepe, Gruppo Misto]

 

Non esistono diritti acquisiti per gli altri lavoratori e dunque neanche dovevano essercene per gli ex parlamentari: così è un interventicchio. [Antonio Borghesi, Italia dei Valori]

 

Se un deputato entrato alla Camera con un diverso regime decidesse di fare causa allo Stato credo che vincerebbe. [Antonio Mazzocchi, Popolo della Libertà]

 

I diritti acquisiti non bisognerebbe mai toccarli, perché se sono acquisiti vuol dire che per acquisirli ha pagato qualcosa. Se si toccano questi diritti bisogna almeno ridare indietro i soldi versati, altrimenti è una truffa… rispetto a Fabio Fazio, che prende 2 milioni di euro l’anno, noi prendiamo 4.500 euro netti al mese. Hai voglia di farne di mesi prima di arrivare a 2 milioni. [Maurizio Grassano, Popolo e Territorio]

Come si vede, da ogni angolo dello schieramento politico emergono pareri contrari, con le motivazioni via via più adatte all’elettorato di riferimento e con alcune frasi, come quella di Pisacane, che suonano semplicemente come schiaffi alla gente comune.
La proposta viene addirittura criticata da fronti opposti tra loro: da un lato il democratico Boccia evidenzia come la riforma penalizzi i parlamentari più giovani e meno esperti, dall’altro Mazzocchi e Grassano si scagliano contro i passaggi che mettono in discussione i diritti acquisiti dai parlamentari in carica; di fatto, l’unica soluzione che accontenterebbe tutti sarebbe il mantenimento dello status quo
La frase più emblematica pare però essere, in ultima analisi, quella di Pepe: il deputato del Gruppo Misto infatti da un lato evidenzia la distanza tra Casta e popolo parlando di parlamentari “alla fame” se passasse una riforma del genere, e dall’altro rimarca come i parlamentari di fatto non farebbero che cercare soldi altrove, finendo con il rappresentare sempre più chi li paga e sempre meno i cittadini.

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[ad]L’unica critica in realtà almeno in parte costruttiva viene dall’Italia dei Valori: Antonio Borghesi, esponente dipietrista, dedica infatti un approfondito articolo sul suo sito all’argomento, in cui ne evidenzia, anche numeri alla mano, i tratti negativi.
In particolare, Borghesi si scaglia contro il fatto che chi percepisce già la pensione continuerà a farlo, e che, parificando i parlamentari ai precari, vi sarà un esborso mensile di circa 2.000 euro a parlamentare a carico dello Stato per il pagamento dei contributi; il tutto, sottolinea, a fronte di risultati che si faranno sentire in maniera incisiva solo quando inizierà a diminuire il numero dei parlamentari effettivamente pensionati con l’attuale sistema previdenziale. Nei primi anni, evidenzia ancora Borghesi, la nuova riforma potrebbe portare ad un aggravio per le casse dello Stato.

Quanto dice Borghesi è indubbiamente corretto, e sicuramente una maggiore dose di coraggio sarebbe servita. Eppure le critiche mosse dall’Italia dei Valori non possono essere un freno per votare contro questa proposta: affossare una legge perché “va nella giusta direzione ma non è abbastanza” è solo una scusa per perpetuare uno status quo intollerabile. Di fatto, pur mostrando una certa generosità, si tratta di una riforma che a medio termine inizierà a dare i suoi benefici, e proprio per questa ragione i partiti che più si dichiarano vicini alla cittadinanza non devono ostacolarla; al massimo, migliorarla ulteriormente.

Purtroppo, ciò che i parlamentari studiano non è questo, ma come salvare la propria pensione utilizzando escamotage di basso livello: coloro che hanno già maturato la soglia magica dei quattro anni, sei mesi e un giorno, potrebbero infatti dimettersi entro l’anno per ricevere l’attuale trattamento pensionistico. Un’idea che deve essere venuta a molti, se il capogruppo del PD alla Camera Franceschini è stato costretto a intervenire:

Se qualcuno pensa di ricorrere a una furbizia del genere, basta che l’Aula gli respinga le dimissioni.

Su altri fronti, il pidiellino Mazzocchi, avvocato, parla di ricorsi legali per evitare la perdita dei diritti acquisiti, tentando di formare un fronte trasversale per avviare una simile procedura in caso di approvazione della norma. Forse Mazzocchi dimentica che la finestra mobile voluta dal Governo che lui sosteneva incideva proprio sui diritti acquisiti…
E coloro che non hanno ancora maturato l’anzianità necessaria? Le dimissioni per questi parlamentari sarebbero inutili, ed ecco che nasce l’ipotesi, nientemeno, di una norma transitoria che possa traghettare l’attuale sistema previdenziale alla fine della legislatura.

Sebbene sia sempre necessario valutare i comportamenti delle singole forze politiche e dei singoli parlamentari – comportamenti che diverranno palesi al momento del voto – non si può fare a meno di dubitare del reale interesse per il bene dell’Italia della nostra classe dirigente, una classe dirigente che riesce persino a difendere i propri privilegi nel medesimo istante in cui ai cittadini già provati dalle passate manovre viene chiesto di compiere ulteriori sacrifici.