“Se volete ancorare a sinistra Renzi, votate Civati”. Parola di Achille Occhetto, l’uomo che ha cambiato il volto della sinistra, facendo calare il sipario sul Pci e varando il Pds. Uno che tempo fa aveva dichiarato di faticare a votare “per il leader di un partito che ritengo debba essere rifondato dalle radici”. E che nel risultato delle primarie vede la sconfitta dura dei dirigenti democratici.
“Dopo il dibattito fra i candidati ho visto emergere la voglia di cambiamento e l’esigenza di mettere in campo una situazione politica nuova dopo i rischi che si sono aperti a margine della sentenza della Corte Costituzionale” ha riconosciuto Occhetto, intervistato da Lettera43. Anche per questo ha scelto di sostenere Pippo Civati: “lui interpreta questa volontà più a sinistra rispetto a Renzi, che pure apprezzo”.
Sostenere Civati, in generale “sarebbe stato utile per mettere al sicuro la stessa vittoria del sindaco di Firenze”. Per Occhetto il Pd non potrebbe essere più moderato di così: “Vorrebbe dire andare a destra. In questi ultimi mesi, in modo discutibile, il Pd si è comportato come un partito di centro“. Tutta colpa delle larghe intese, quando servirebbe “una radicalità moderna, democratica, riformatrice o riformista alternativa al centrodestra”. Anche per questo Occhetto sembra dell’idea che occorra una spallata decisiva, sia pure con i dovuti modi, per far cadere Letta.
Per l’ex segretario Pds, gli obiettivi di Renzi coincidono con le cose di cui c’è subito bisogno, dalla legge elettorale all’abolizione del Senato, dal taglio dei costi della politica a una nuova politica del lavoro. “Cose – precisa – che questo governo non credo riuscirà a fare”. Ammette che, negli ultimi anni, dal Pci non sono rimaste “le grandi tensioni morali e ideali”, ma “una visione chiusa del partito come massima divinità statica a cui dedicare e sottomettere ogni altra cosa”.
Più colpevole, però, sarebbe chi ha “distrutto il grande Ulivo di Prodi”. Occhetto è convinto che “Questo nemico ha preso un colpo duro”. Al giornalista che gli chiede se questo nemico sia Massimo D’Alema, Occhetto risponde: “È una concezione della politica che anche D’Alema ha incarnato. Non da solo, però”. Di questo ha parlato nel suo libro La gioiosa macchina da guerra, ma non fa nomi dopo che qualcuno ha etichettato quei pensieri come “rancore”. “Oggi però – ammette – ho la gioia di vedere che quello che è stato considerato un mio rancore personale viene condiviso da quasi due milioni di persone che sono andate a votare”.
A chi nota che con la vittoria di Renzi finisce il Pci, si limita a rispondere: “Io avevo l’idea che il Pci fosse stato trasformato con la ‘svolta’ del 1989. Poi c’è stato un cambiamento delle nostre idealità di fondo. Il grande tema di oggi è riprendere quel cammino, cercando di unificare superando le divisioni esistenti. La svolta della Bolognina è stata deviata e sfigurata, però la rivolta morale che si è espressa nel voto di domenica 8 dicembre ridà valore al tentativo che cercammo di portare a termine al tempo”.
Quanto a Silvio Berlusconi, che mandò a sbattere la sua “gioiosa macchina da guerra”, per Occhetto “è braccato è chiuso in una situazione di estrema difficoltà. È chiaro che scelga tutti i messaggi possibili per rifarsi una verginità. Tutto dipenderà da come si evolverà la situazione del governo e che atteggiamento terrà il centrosinistra, che ha già pagato la politica di austerità di Monti e pagherebbe un’eventuale prosecuzione dell’emergenza sociale. Da ciò potrebbero trarre vantaggio Grillo da una parte e Berlusconi dall’altra”. Come dire che Berlusconi non è ancora finito.
Gabriele Maestri