Webtax: Boccia ci riprova ma il ministero non è d’accordo
La Web Tax, ovvero la regola secondo la quale chi acquista servizi online dovrebbe farlo solo da soggetti dotati di una partita Iva italiana, sembra, ormai, divenuta una sorta di personale ossessione del Presidente della Commissione Bilancio della Camera dei Deputati, Francesco Boccia.
Dopo il ritiro dell’emendamento nel progetto di legge di stabilità al Senato, venerdì scorso l’On. Boccia ha ottenuto la ripresentazione alla Camera dei Deputati sempre sotto forma di emendamento alla stessa legge di stabilità che sta nel frattempo proseguendo il suo cammino. Una prova di determinazione, quella del Presidente della Commissione Bilancio della Camera, ai limiti dell’ostinazione, certamente ammirevole da un lato ma, preoccupante, dall’altro.
La proposta di introdurre nel solo Belpaese una regola che l’Unione Europea sta discutendo di introdurre in tutti i 28 Paesi UE, ma con tempi e modi tali da non creare artificiose frammentazioni del mercato unico europeo, infatti, ha generato un coro – quasi unanime – di critiche da parte degli addetti ai lavori, in Italia e all’estero.
La stessa Commissione Europea – stando a quanto riferito da Il Sole 24 ore – nei giorni scorsi avrebbe informalmente fatto sapere che la soluzione proposta dall’On. Boccia, se diventasse legge, potrebbe essere ritenuta tanto contraria al diritto dell’unione da costare al nostro Paese l’apertura di un’ennesima procedura di infrazione.
Il caparbio Presidente della Commissione Bilancio, tuttavia, non si è fatto scoraggiare dalle critiche che ha immediatamente respinto imputandole o all’incompetenza degli oppositori o alla loro malafede, determinata dalla potentissima lobby delle internet company. Difficile, per la verità, pensare che un economista di fama mondiale come Jeremy Rifkin si sbilanci in una tanto severa opinione su una proposta di legge italiana perché sul libro paga di una internet company, ma non c’è ragione per non rispettare il legittimo sospetto di Francesco Boccia.
Impossibile, però, pensare che sia stata la lobby delle internet company a dettare il parere riservato – fin qui rimasto segreto – che il Ministero dell’economia e delle finanze ha trasmesso al Senato della Repubblica sull’emendamento contenente la Web Tax, ora riproposto alla Camera dei Deputati.
Il documento – che come tutti gli atti strumentali alla discussione di un disegno di legge meriterebbe, in realtà, di essere reso pubblico – boccia senza riserve né prove di appello l’iniziativa legislativa cara al Presidente della Commissione Bilancio di Montecitorio.
“La proposta appare in contrasto con i principi di libertà di stabilimento e di libera circolazione delle merci dei servizi e dei capitali di cui all’articolo 26 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). La proposta appare inoltre in contrasto con i principi di cui all’art. 41 della Costituzione che stabilisce la libertà dell’iniziativa economica privata, che implica anche la libertà di commerciare fuori dei confini del territorio nazionale”
È questo, parola per parola, il parere del Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia sull’iniziativa dell’On. Boccia. Una bocciatura autorevole che avrebbe dovuto valere a convincere definitivamente il Presidente della Commissione bilancio a desistere dal suo intendimento.
Il punto è sempre lo stesso: magari quella dell’On. Boccia sarà anche un’idea importante, nell’interesse del Paese e condivisibile dai più ma non può, certamente, essere implementata come si vorrebbe fare. Bisogna attendere l’Europa e bisogna che le regole cambino in tutti i 28 Paesi del nostro vecchio continente: nessun mercato è tanto “unico” come quello online.