“La strage di Capaci fu accelerata per influire sulla nomina del presidente della Repubblica”. Non è certo una novità, quella rivelata stamane dal pentito Giovanni Brusca nella sua deposizione davanti ai pm palermitani che indagano sulla trattativa Stato-mafia, ma rimette le dita su una ferita aperta per l’Italia, una ferita che – stando alla conferma di oggi – fa coincidere l’uccisione dell’uomo simbolo della lotta alla mafia, Giovanni Falcone, e la fine delle ambizioni di Giulio Andreotti. “Riina diceva che ad Andreotti dovevamo rompere le corna, ostacolandolo”, iniziando con l’uccisione di Salvo Lima, fino a Capaci.
Nelle sue dichiarazioni odierne, colui che fece azionare il telecomando nell’attentato di Capaci, ha anche aggiunto che “Riina voleva essere sicuro di riuscire nell’attentato” e infatti gli “disse di impiegare 1000 chili di esplosivo”. Il pentimento è arrivato dopo “un incontro con la sorella del giudice Borsellino, Rita” che gli chiese “di sapere tutta la verità sulla morte di suo fratello”.
Non è inutile ritornare con la mente ai fatti della primavera del 1992. Il pool di Milano sta mettendo a soqquadro le istituzioni con l’inchiesta sulle tangenti, mentre Salvo Lima viene assassinato a Palermo dopo la conferma delle condanne del maxiprocesso istruito da Falcone e Borsellino. Cossiga sceglie di dimettersi (25 aprile 1992) con qualche settimana di anticipo, i grandi elettori si riuniscono (17 maggio) per iniziare a votare il nuovo Presidente.
Vengono bruciati Bobbio, Vassalli, la Iotti, Martinazzoli e Forlani (che manca l’obiettivo per 29 franchi tiratori e, dopo la seconda impallinatura, si dimette pure da segretario della Dc). Rimangono solo le cariche “istituzionali”: i presidenti delle Camere Giovanni Spadolini e Oscar Luigi Scalfaro e il capo del governo, Andreotti appunto. Il 23 maggio arriva la notizia da Palermo: Falcone, la moglie e la scorta sono rimasti vittime di un attentato mafioso. “La strage è un attacco a Giulio” dirà il braccio destro del divo Nino Cristofori.
Intanto, il leader del Pri viene affossato dalle inchieste di Mani Pulite che colpiscono anche il suo partito. Rimane solo Scalfaro che verrà eletto al sedicesimo scrutino. “Sappiamo di non scoprire la polvere dicendo che a issare Scalfaro al Quirinale non sono stati i mille grandi elettori (si fa per dire) di Montecitorio, ma i mille chili di tritolo che hanno massacrato Falcone, la moglie e il suo seguito” scriverà Indro Montanelli sul Giornale.
Fino a venerdì, il procuratore Messineo, l’aggiunto Teresi e i pm Del Bene e Tartaglia, saranno a Milano per sentire il pentito che continua ad aggiungere elementi importanti per il processo. Stamani inoltre, non era presente il pm Di Matteo perché si è preferito non rischiare la trasferta dopo le forti minacce di Riina dei giorni scorsi.
Brusca: “Volevamo colpire De Benedetti” – Cosa Nostra, però, non voleva colpire solo l’area di Andreotti: ha progettato anche un attentato ai danni dell’imprenditore Carlo De Benedetti, proprietario del gruppo editoriale Repubblica-L’Espresso. A rivelarlo è sempre il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, deponendo nell’aula bunker di Milano al processo per la trattativa Stato-mafia.
“All’inizio degli anni ’90, venuto meno il riferimento di Andreotti, l’intento di Pino Lipari era di dare vita a un movimento politico di imprenditori, un progetto che condividevo completamente”, ha detto Brusca, secondo cui “l’obiettivo era acquisire il potere politico, prima in Sicilia e poi a livello nazionale”.
“A questo fine – ha raccontato – avevamo progettato di indebolire la sinistra e avevamo individuato in Carlo De Benedetti il sostenitore della sinistra. Parlando con Riina, c’era il progetto, mai concretizzato, di eliminare questo ostacolo per indebolire quella parte politica e concretizzare il progetto politico”. “La sinistra, a cominciare da Mancino, ma tutto il governo, in quel momento storico, sapeva quello che era avvenuto in Sicilia: gli attentati del ’93, il contatto con Riina. Sapevano tutto”. ha detto ancora Brusca durante la deposizione.
“Che la sinistra sapeva lo dissi a Vittorio Mangano – ha aggiunto – quando lo incontrai”. Gli disse anche: “I Servizi segreti sanno tutto ma non c’entrano niente”. “Mangano – ha continuato – comprese e con questo bagaglio di conoscenze andò da Dell’Utri”. “Il nostro messaggio era diretto a Berlusconi ma Mangano incontrò solo Dell’Utri”, ha aggiunto Brusca il quale ha spiegato che, all’epoca, Cosa nostra cercava di agganciare un nuovo soggetto politico. “Dopo avere ripreso i rapporti con Dell’Utri – ha continuato – Mangano mi disse che avrebbe dovuto incontrare direttamente Berlusconi che doveva venire a Palermo per un comizio. Si sarebbero dovuti vedere nello scantinato di un ristorante sulla circonvallazione, ma non so se l’incontro ci fu”.