I problemi di Finlandia e Danimarca: la settimana scandinava

I problemi di Finlandia e Danimarca: la settimana scandinava

I problemi di Finlandia e Danimarca. Per raccontare la Scandinavia degli ultimi giorni si può prendere come punto di riferimento la Finlandia. Perché se in Finlandia l’economia fatica a carburare, in Islanda il Pil cresce velocemente. E se in Finlandia il governo registra l’ennesimo calo nella fiducia degli elettori, in Norvegia sia l’attuale primo ministro sia quello precedente godono entrambi di stima tra la gente. Fa storia a sé la Danimarca, dove nel giro di quarantott’ore due pezzi da novanta del governo sono stati costretti alle dimissioni.

L’economia in Finlandia assomiglia a una macchina col motore che borbotta: parte a fatica, sembra aver preso abbrivio, poi si ingolfa di nuovo. Metafore a parte, c’è un dato: nel terzo trimestre la crescita è stata praticamente pari allo zero, un risultato peggiore rispetto alle non rosee previsioni delle scorse settimane.

Helsinki

 

Perché l’economia finlandese si è impantanata? L’Yle l’ha chiesto ad alcuni esperti: ne viene fuori un quadro che non svela nulla di nuovo ma che ribadisce ancora una volta i problemi del sistema-Finlandia. Al primo posto le esportazioni che non decollano, e qui la ‘colpa’ non è direttamente di Helsinki ma della crisi che sta segnando questi anni: i partner commerciali della Finlandia (soprattutto quelli europei) stanno uscendo ora dalle turbolenze recenti ma i livelli di un tempo restano lontani

C’è poi da dire che settori storicamente strategici versano in situazioni difficili: male la Nokia, male l’industria del legno e quella della carta. Tasse e stipendi generalmente più alti della media influiscono negativamente sulla competitività del paese.

Aggiungiamoci una domanda interna ancora bassa e la frittata è fatta: ma è difficile dare torto ai finlandesi, che tra aziende che chiudono e annunci di manovre correttive di spendere un po’ di più non se la sentono proprio.

L’economia ingolfata è una pessima notizia anche per il governo, che l’economia dovrebbe farla ripartire ma che dall’economia finisce per essere affossato. E infatti l’esecutivo del premier Katainen da mesi vede scendere la fiducia della gente: solo un cittadino su quattro ritiene che il governo abbia fatto bene sino a oggi. La ragione principale sta proprio nell’andamento debole dell’economia finlandese.

Tutt’altro ritmo invece ha l’economia dell’Islanda, dove la crescita del Pil abbina elementi di incertezza a grande dinamismo: nel terzo trimestre di quest’anno è stato registrato un +6,1 per cento rispetto ai tre mesi precedenti. A tirare la volata sono le esportazioni, tornate a crescere, e una domanda interna in ripresa.

Confrontando i primi nove mesi dell’anno con lo stesso periodo del 2012, il Pil islandese è al +3,1 per cento. Il rovescio della medaglia si chiama inflazione, che resta alta.

Intanto Vigdís Hauksdóttir, che presiede la commissione parlamentare che ha il compito di lavorare sul bilancio statale, ha annunciato che il governo potrebbe proporre un taglio ai fondi destinati agli aiuti per i paesi in via di sviluppo, per reinvestire il denaro risparmiato nella spesa sanitaria nazionale. “Ci sono state le elezioni la scorsa primavera e sarebbe singolare se l’attuale governo seguisse le politiche tracciate dal precedente esecutivo. Noi abbiamo politiche differenti” ha spiegato.

Anche in Norvegia l’aria che tira è diversa rispetto alla Finlandia, e in questo caso siamo nel territorio della politica pura: nell’opinione degli elettori il primo ministro conservatore Erna Solberg ha scavalcato l’ex premier laburista Jens Stoltenberg. In un mese è cambiato tanto.

A novembre, infatti, il 44,7 per cento dei norvegesi era pronto a dire che l’uomo migliore per guidare il paese era proprio lui, l’ex primo ministro. Solberg si prendeva il 40 per cento del gradimento. Ora, tutt’altra storia: Solberg al 43,4 e Stoltenberg al 40,4. Posizioni invertite di netto.

Bernt Aardal, docente di scienze politiche e uno dei commentatori più noti e autorevoli in Norvegia, sottolinea come ricoprire l’incarico di primo ministro dia una innegabile (e utile) esposizione mediatica, ma solo in futuro si capirà davvero se e quanto i norvegesi credano nelle capacità dell’attuale premier.

Sorprende di meno – e forse dovrebbe sorprendere di più – come resti amatissimo un primo ministro che ha governato per otto anni e che due mesi fa ha perso le elezioni. In Norvegia è così: il paese continua a nutrire una profondissima stima per Jens Stoltenberg.

La Danimarca invece col giochino dei paragoni con la Finlandia ha poco a che fare. A Copenhagen infatti l’economia è in ripresa ma il governo se la passa molto male. A due settimane dalle dimissioni del ministro per la Cooperazione per lo Sviluppo Christian Friis Bach, altri due pezzi sono andati persi per strada: il primo a dimettersi è stato il ministro della Giustizia, il laburista Morten Bødskov, travolto da uno scandalo scoppiato nelle ultime settimane e montato prepotentemente negli ultimi dieci giorni. Poi è toccato al ministro degli esteri Villy Søvndal, che ha lasciato per motivi di salute: era stato operato al cuore un mese fa. Due storie diverse da non mescolare. E la vera bomba politica è quella che tocca Morten Bødskov.

Il primo ministro danese Helle Thorning-Schmidt

L’ex leader del Partito Popolare Danese Pia Kjærsgaard, infatti, sarebbe stata spiata. Tutto comincia con la sua richiesta di organizzare una visita a Christiania, il quartiere parzialmente autogovernato nella città di Copenhagen. La PET (l’agenzia per la sicurezza interna) sposta la visita per motivi di sicurezza, fissandone un’altra in una giornata diversa, una giornata nella quale Kjærsgaard ha però già altri impegni. E tutto salta. Una storia semplice in apparenza. In realtà c’è molto altro.

Ad ammetterlo è stato lo stesso Jakob Scharf, ex capo della PET, il quale ha confessato di aver chiesto ai suoi uomini di controllare l’agenda di Kjærsgaard così da piazzare la visita a Christiania in un giorno in cui la ex leader del Partito Popolare Danese fosse stata impossibilitata a presenziare. Operazione del tutto illegale, secondo Scharf motivata dal fatto che una visita di Kjærsgaard a Christiania avrebbe potuto creare problemi.

Ma il caso è venuto alla luce. Il primo a rimetterci la poltrona è stato proprio Scharf. Poi è toccato al ministro Bødskov, per giorni sotto il fuoco di fila dell’opposizione. Quando ha ammesso di aver contribuito a creare una scusa per rinviare la visita di Kjærsgaard, la sua posizione è precipitata.

Il colpo di grazia l’ha dato l’Alleanza Rosso-Verde che appoggia il governo dall’esterno: “La questione era fondamentalmente legata a come ci si possa fidare di un ministro che ha mentito al parlamento” ha spiegato Pernille Skipper, portavoce del partito per la giustizia, “a causa della serietà del caso, non ci fidiamo più di Bødskov come ministro”.

Per l’esecutivo laburista guidato da Thorning-Schmidt una tempesta violentissima dalla quale sarà difficile uscirne. Di certo non basterà un rimpasto. La gravità della situazione la riassumeva bene il titolo dell’edizione online del Politiken di martedì: “Il governo di Thorning-Schmidt nel caos”.